E’ una data importante quella di oggi per l’Argentina, perché scade l’ultimatum fissato dal governatore della provincia di Buenos Aires, Axel Kicillof, nei confronti degli obbligazionisti in possesso del bond 2021. Entro stasera, dovranno comunicare la loro decisione se aderire o meno alla proposta di rinvio dei pagamenti da 250 milioni di dollari, dovuti il 26 gennaio, domenica scorsa. Se accetteranno, saranno rimborsati l’1 maggio, altrimenti c’è il serio rischio che la provincia faccia da sé, cioè che ristrutturi tale debito in autonomia, facendo scattare tecnicamente il default.

In teoria, c’è tempo per trattare fino al 5 febbraio, data in cui scade il periodo di grazia di 10 giorni previsto per la quota capitale.

Già nei giorni scorsi, il governatore si era visto costretto a rinviare la data entro cui i creditori avrebbero dovuto fargli pervenire la loro risposta, segno che non si fosse vicini al raggiungimento di quel quorum del 75% necessario per ottenere il placet sulla ristrutturazione. La questione è più seria di quanto s’immagini, perché la provincia di Buenos Aires ospita il 40% della popolazione argentina ed è di gran lunga la più ricca e influente della nazione sudamericana. I creditori dei bond sovrani guardano con apprensione alla scadenza odierna, perché l’esito segnerà il clima in cui l’amministrazione di Alberto Fernandez si muoverà anche con riferimento alla sua proposta di ristrutturazione del debito pubblico su 100 miliardi di dollari di bond.

Crisi Argentina, Buenos Aires rinvia l’ultimatum ai creditori: buon segnale?

Il governo nazionale ha fissato al 31 marzo il termine entro cui trovare un accordo. Il prossimo 5 febbraio, a margine di un evento a Roma da Papa Francesco, il ministro delle Finanze, Martin Guzman, incontrerà il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Georgieva Kristalina. I due discuteranno certamente della richiesta di ristrutturazione sui 44 miliardi di dollari di prestiti ottenuti tra il 2018 e il 2019 dall’FMI, parte dei 57 miliardi complessivamente stanziati.

I restanti 13 miliardi non saranno più erogati, però, perché la nuova amministrazione si è pronunciata contro un’ulteriore esposizione verso l’istituto di Washington.

Alto rischio anche per creditori sovrani

Il tema sta diventando complesso. Un eventuale default di Buenos Aires creerebbe tensioni tra governo nazionale e creditori internazionali, già provati dagli ultimi due default sovrani verificatisi alla fine del 2001 e nel 2014. A seguito del primo, si scatenò una dura battaglia legale di 15 anni con i cosiddetti “fondi avvoltoi”, capeggiati da Elliott Management e usciti vincitori dalla sentenza del giudice Thomas Griesa a New York. Anche nel caso delle obbligazioni emesse dalla provincia si trovano investitori istituzionali tra i creditori, come Fidelity e Schroders. E questo non fa che surriscaldare la temperatura, data l’ostilità già esibita da Kicillof verso la finanza internazionale, al tempo in cui fu ministro delle Finanze sotto la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner.

A far suonare l’allarme è stata anche una recente dichiarazione dell’economista Joseph Stiglitz, mentore di Guzman, secondo cui sarebbe da escludere una ristrutturazione del debito argentino senza “haircut”, ovvero tagliando il valore nominale dei bond. L’affermazione ha fatto serpeggiare il sospetto che della cosa ne abbia discusso proprio con il giovane ministro delle Finanze, il quale ha pubblicamente sempre smentito l’intenzione di procedere a una simile misura, sostenendo più che altro la necessità di allungare le scadenze con l’accordo degli obbligazionisti. L’esito di oggi ci dirà quanto possibile sia una ristrutturazione pacifica del debito nazionale.

Bond Argentina, timori di default e oggi scadenza fatale per i creditori

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