La scorsa settimana, l’Autorità per il Mercato dei Capitali, la borsa locale e l’Ufficio per la Gestione del Debito ha annunciato il taglio delle commissioni a carico delle emissioni di bond e azioni, nell’evidente tentativo di attirare capitali stranieri in Arabia Saudita. Anche il costo annuale di registrazione per gli emittenti è stato tagliato, ma la misura che forse aprirà maggiormente alla finanza straniera è un’altra: l’abbassamento da 1 milione (267.000 dollari) a 1.000 rial (267 dollari) per i pezzi minimi dei sukuk emessi.

 Quest’ultima decisione dovrebbe sostenere gli scambi sul mercato secondario e spingere i fondi d’investimento e, in particolare, gli investitori individuali a rivolgere maggiore interesse al comparto obbligazionario saudita. Un taglio minimo da 1 milione di rial, infatti, può essere difficile da rivendere sul secondario, mentre non vi sarebbero problemi con i pezzi da 1.000 rial.

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L’obiettivo per il ministro delle Finanze, Mohammed al-Jadaan, consiste nel consentire alle famiglie di mettere a frutto meglio i loro risparmi, perché sino ad oggi esistono, spiega, pochi schemi loro dedicati. Il tutto s’inquadrerebbe all’interno della “Vision 2030”, il piano di riforme del principe Mohammed bin Salman, teso a diversificare l’economia saudita, sganciandola dall’eccessiva dipendenza dal petrolio entro la fine del prossimo decennio.

Corsa alle emissioni di bond sauditi

Da qualche tempo, Riad punta proprio sulla finanza straniera per reperire nuovi capitali, tenendo tra l’altro un appuntamento annuale ribattezzato dai media con il nome eloquente di “Davos nel deserto”. E nonostante detenga ancora riserve valutarie per quasi 500 miliardi di dollari, pur in calo dall’apice di 740 miliardi toccati nel 2014, negli ultimi anni è tornata a rifinanziarsi sui mercati con l’emissione di titoli del debito pubblico a medio-lungo termine, portandoli al 20% del pil dal 2% del periodo pre-crisi. Dei 150 miliardi di dollari di debito, il 54% è denominato in rial, il resto in dollari USA.

Nelle scorse settimane, la compagnia petrolifera statale Aramco ha attratto oltre 100 miliardi di dollari di ordini da tutto il mondo per l’emissione dei suoi primi bond per complessivi 12 miliardi, che vanno dalla scadenza a 3 anni a una di 30 anni. Il ministro del Petrolio, Khalid al-Falih, ha dichiarato che questo sarebbe solo l’inizio, facendo intendere che la stessa Aramco “prima di quanto si pensi” tornerà sul mercato dei capitali con l’IPO, attesa ad oggi per il 2021 dopo il rinvio dello scorso anno.

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E la compagnia telefonica saudita ha annunciato anch’essa l’emissione di sukuk per 5 miliardi di dollari, finalizzata alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento dei capitali. I sukuk sono bond conformi alla legge islamica, che corrispondono ai possessori non una vera cedola, quanto la partecipazione agli utili derivanti dalle attività sottostanti finanziate. Con ciò, viene aggirato il divieto di prestare denaro dietro interessi. Nelle intenzioni del regno, il mercato obbligazionario allenterebbe la dipendenza delle società saudite dalle banche, liberando risorse in favore degli investimenti necessari alla diversificazione dell’economia domestica. Ricordiamo che dal mese scorso, il Tawadul è stato inserito tra gli indici finanziari emergenti, permettendo alle società di tutto il mondo di riversarvi più facilmente i loro capitali. E il passo è stato reso possibile proprio dall’apertura agli investitori stranieri, avvenuta sotto Re Salman con la sua ascesa al trono nel 2015.

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