La Federal Reserve ha alzato anche ieri i tassi d’interesse per la quinta volta consecutiva, portandoli dal range 2,25-2,50% al 3-3,25%. Un ritocco all’insù dello 0,75% per la terza volta di fila. E stando alle aspettative dei mercati, come vedremo, non sarebbe stata l’ultima. Il rendimento del T-bond a 2 anni è andato in fuga al 4,13% nelle ore successive all’annuncio. Si tratta del livello maggiore dal 2007, quando la politica monetaria americana seguiva ancora percorsi ortodossi. Dall’anno successivo, a causa della crisi dei mutui subprime, la FED azzerò i tassi e varò un piano di acquisti di bond noto come “quantitative easing”.

Tassi FED fino al 4,75%

I tassi FED dovrebbero salire ulteriormente al 4% al prossimo board di inizio novembre. Entro la fine dell’anno, sono attesi al 4,50%. E nei primi mesi del 2023, toccherebbero il 4,75% per stabilizzarsi a tale livello per gran parte del prossimo anno. Entro la fine del 2023, ad oggi il mercato intravede solo un taglio dei tassi dello 0,25%. In altre parole, i tassi FED rimarrebbero non inferiori al 4,50% da qui a tutto l’anno prossimo.

Il T-bond a 2 anni riflette sostanzialmente le condizioni monetarie americane e non può che offrire rendimenti più alti in questa fase, trascinandosi dietro i rendimenti degli altri bond stranieri. Il Bund biennale sfiorava ieri l’1,90%. Di riflesso, anche il nostro BTp a 2 anni viaggiava poco sotto il 2,90%. Un boom dei rendimenti a stelle e strisce che continua a far collassare il cambio euro-dollaro ai nuovi minimi da venti anni. Ieri mattina, apriva a ridosso di 0,98.

T-bond allettanti con crisi energetica

Il mercato non crederebbe, pertanto, che i tassi BCE saranno in grado di stare dietro alla corsa dei tassi FED. Sconta una recessione economica in arrivo per l’Eurozona, mentre la situazione negli USA sarebbe per il momento diversa. Gli americani non stanno patendo la stessa crisi energetica di noi europei.

La guerra tra Russia e Ucraina si combatte sul nostro continente, che registra un deterioramento della bilancia commerciale provocato dal boom dei prezzi di petrolio e gas, il quale si riflette sui costi di produzione.

Pertanto, i T-bond appaiono più allettanti dei titoli di stato dell’Eurozona, i quali rendono di meno e offrono per il momento minori certezze. Per un obbligazionista dell’Eurozona, tuttavia, vale sempre il fattore cambio. Acquistare oggi come oggi un biennale americano a premio di oltre 120 punti base o 1,20% sull’omologo BTp può rivelarsi un investimento insensato, qualora da qui alla scadenza il cambio euro-dollaro risalisse di almeno il 2,5%, cancellando i vantaggi cumulati nel biennio. Ed è proprio questo scenario che il mercato intravede. Il dollaro sarebbe sopravvalutato e destinato a deprezzarsi.

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