Martedì pomeriggio, lo spread tra BTp e Bund a 10 anni era sceso fin sotto 220 punti base o 2,20%, il dato più basso da prima delle elezioni politiche. Ieri, continuava ad attestarsi tra 220 e 225 bp. Nel frattempo, il nostro rendimento decennale scendeva al 4,35%. Era arrivato al 4,80% al termine della settimana scorsa. Movimenti non isolati, come dimostra il fatto che il T-bond americano a 10 anni è sceso da un apice del 4,23% (massimo dal 2007) a poco più del 4% di ieri. I rendimenti globali sono scesi vistosamente nelle ultime sedute, ridando fiato alle borse.

Stretta sui tassi prosegue

La domanda che ci si sta ponendo tra gli investitori è se sia stato toccato il punto minimo per i prezzi obbligazionari. In altre parole, se i rendimenti globali siano già culminati. Oggi, la BCE alzerà i tassi d’interesse al 2% nell’Eurozona. Tra pochi giorni, la Federal Reserve li porterà al 4%. E secondo i futures, i tassi americani toccheranno quasi il 5,20% a marzo.

Verrebbe da dire che siamo ancora lontani dalla conclusione della stretta monetaria. Ci sarebbero almeno un paio di ulteriori rialzi dei tassi FED dello 0,50% ciascuno. Ma è altrettanto vero che i mercati ragionano d’anticipo e che i rendimenti globali potrebbero già iniziare a scontare la fine della stretta monetaria.

Qualche segnale in tal senso o meno arriverebbe già tra qualche giorno, quando sarà diramato il dato sull’inflazione nell’Eurozona a ottobre. Un eventuale rallentamento dal 9,9% registrato a settembre sarebbe il primo timido segnale di un’inversione di tendenza. I mercati vi troverebbero forse conferma che il rialzo dei tassi starebbe “soffocando” la domanda, agendo sui prezzi al consumo. I rendimenti globali ripiegherebbero.

Rendimenti globali mossi dai T-bond

In ogni caso, comanda il mercato dei T-bond americani. Sono il benchmark mondiale per l’obbligazionario e attirano capitali dal resto del pianeta per via dei loro livelli ancora relativamente elevati.

Il Bund a 10 anni, ad esempio, dopo essersi avvicinato alla soglia del 3%, ieri rendeva poco più del 2,10%. E con un euro fin troppo debole per non risultare appetibile.

Secondo alcuni analisti, la discesa dei tassi d’interesse negli USA sarà discussa alla FED solo quando l’inflazione americana risulterà dimezzata rispetto ai livelli attuali. Per essere concreti, dovrà almeno scendere al 4%, che resta il doppio del target. Non dovrebbe avvenire da qui ai prossimi sei mesi.

Interessante sarà capire il trend di materie prime come gas e petrolio. Sul mercato olandese il primo scambia a 100 euro per Mega-wattora dai 340 di fine agosto. E il Brent resta inchiodato in un range tra 90 e 95 dollari al barile. Ma l’arrivo dell’inverno rischia di far scattare una nuova corsa del gas, i cui consumi in queste settimane in Europa sono stati compressi dalle temperature straordinariamente miti. Sappiamo quanto importante sia per l’inflazione un’energia dai prezzi contenuti e quanto a sua volta essa influisca sui rendimenti globali.

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