Si riunisce oggi per la penultima volta quest’anno il board della BCE, chiamato a decidere sull’aumento dei tassi d’interesse. Il mercato scommette su un rialzo dello 0,75%. Se avesse ragione, il tasso di riferimento salirà da 1,25% a 2%, il tasso sui depositi delle banche da 0,75% a 1,50% e il tasso sui rifinanziamenti marginali da 1,50% a 2,25%. La stretta si rende necessaria dopo che l’inflazione nell’Eurozona ha sfiorato il 10% a settembre. Ma potrebbe non essere l’unica novità che arriverà questo primo pomeriggio da Francoforte.

I banchieri centrali potrebbero aprire una discussione formale sulla cessazione degli acquisti dei bond effettuati in sede di reinvestimenti con il “quantitative easing” (QE). Un’operazione nota in gergo come “quantitative tightening”, già avviata dalla Federal Reserve e a giorni anche dalla Banca d’Inghilterra.

Spread stabile prima del board BCE

Fino ad oggi, nessuna data è stata fissata per la fine di tali acquisti. Essi garantiscono il rinnovo automatico del debito acquistato dall’istituto. Una misura che, affiancata dal rialzo dei tassi BCE, ridurrebbe la liquidità sui mercati più velocemente. E per questo i rendimenti sovrani e corporate salirebbero ulteriormente dopo avere già toccato il picco degli ultimi anni.

In apertura di seduta, lo spread tra BTp e Bund a 10 anni si mostrava sostanzialmente stabile in area 220 punti base. Il rendimento decennale si attestava a poco più del 4,35%. Era arrivato al 4,80% alla fine della scorsa settimana. A parte l’attesa per le decisioni della BCE, agisce favorevolmente sull’andamento del mercato il calo dei rendimenti americani. Il T-bond a 10 anni offre stamattina il 4,01-4,02%. Lunedì, chiudeva al 4,23%, ai massimi dal 2007.

Tassi BCE sempre sotto tassi FED

Calcoli sbagliati o meno, gli investitori hanno la sensazione che il ciclo monetario restrittivo della Federal Reserve sia piuttosto maturo. A inizio novembre, Atlanta dovrebbe portare i tassi americani al 4%, cioè a +2% rispetto ai tassi BCE.

Il culmine sarebbe raggiunto ai primi mesi del 2023, quando salirebbero fino al 5%. E c’è chi non esclude che possa essere infranta tale soglia.

Tornando all’Eurozona, i tassi BCE dovrebbero culminare al 3% o poco più entro un semestre. Il mercato ritiene che quello odierno sia l’ultimo maxi-rialzo, seguito verosimilmente da ritocchi del costo del denaro contenuti nel range 0,25-0,50%. Al board di dicembre – l’ultimo dell’anno – Francoforte avrà a disposizione i dati sull’inflazione nell’area di ottobre e novembre. Nel caso in cui risultassero in discesa, eventualmente Christine Lagarde avrebbe modo di giustificare il rallentamento della stretta. Ma oggi è prematuro fare questo discorso. Anzi, come dicevamo all’inizio dell’articolo, i reinvestimenti con il QE rischiano di venire meno per drenare liquidità dai mercati. E ciò sarebbe una brutta notizia per l’Italia, i cui rendimenti già risultano ai livelli più alti dopo la Grecia nell’Eurozona.

[email protected]