Avevamo sperato in uno spread sotto controllo con l’ingresso di Mario Draghi a Palazzo Chigi. E per quanto la situazione in assoluto sia sotto controllo, il trend è da settimane molto negativo. Oggi, il differenziale di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi a 10 anni è salito a ridosso dei 120 punti base. Il BTp decennale offre lo 0,93%, il livello più alto dal settembre scorso. E’ salito nel frattempo anche il Bund della Germania, che sulla medesima scadenza offre il -0,22%.

In pratica, i rendimenti tedeschi si sono riportati a due anni fa.

L’allargamento dello spread riflette l’aumento percepito del rischio sovrano italiano. Come vi dicevamo ieri, un po’ tutte le principali banche centrali hanno segnalato che intendono avviare il percorso d’uscita dall’attuale grado di accomodamento monetario. La Banca d’Inghilterra ha rallentato gli acquisti mensili di bond, mentre dagli USA è stato il segretario al Tesoro, Janet Yellen, a prospettare un rialzo dei tassi USA non lontano per mettere sotto controllo l’inflazione.

E proprio l’inflazione entra in gioco ai fini del calcolo degli spread. Una volta che teniamo conto come si stiano evolvendo i prezzi al consumo nei vari stati dell’Eurozona, scopriamo che i rendimenti reali italiani risultano ben maggiori di quelli tedeschi o persino spagnoli. Ad aprile, l’inflazione italiana è stata dell’1,1% annua. Sottraendo questo dato dal rendimento a 10 anni, otteniamo il -0,17%. Tanto renderebbe oggi un BTp a lunga scadenza in termini reali. In Germania, l’inflazione è già salita al 2%. Questo significa che il Bund a 10 anni offre oggi il -2,22% reale. Infine, la Spagna ha un’inflazione all’1,7%, a fronte di un Bonos a 10 anni allo 0,50%. Il rendimento spagnolo reale è, quindi, del -1,2%.

Da questi semplici dati, otteniamo che lo spread BTp-Bund reale sarebbe a 205 punti. E lo spread BTp-Bonos ben sopra 80 punti.

Al contrario, lo spread Bonos-Bund è contenuto a 100 punti, una trentina in più dello spread nominale tra i due titoli. Una condizione di allarme, perché segnala come la diversa entità dell’inflazione negli stati dell’Eurozona stia mascherando fino a un certo punto la crescente frammentazione dei mercati finanziari.

Evidentemente, il mercato non è preoccupato dell’inflazione in Italia, bensì della sostenibilità del suo immenso debito pubblico con la fine degli stimoli monetari. Dunque, non è l’inflazione in sé a fare lievitare i rendimenti dei BTp, quanto il fatto che essa presupponga una BCE meno accomodante. E senza il suo forte sostegno, Roma sarebbe costretta a rifinanziare il debito a costi potenzialmente destabilizzanti. Se, poi, vogliamo dirla tutta, il fatto che l’inflazione in Germania sia già al 2% e in Italia a poco più della metà accresce i timori degli investitori. Ciò implica, anzitutto, che l’economia tedesca starebbe uscendo dalla crisi più in fretta e, soprattutto, che la BCE possa iniziare a tagliare gli acquisti dei bond prima che l’Italia si sia ripresa.

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