Una decina di giorni dopo il salvataggio di Credit Suisse, non si placano le polemiche attorno alla decisione della FINMA, l’authority finanziaria svizzera, di avallare l’azzeramento dei bond AT1 dell’istituto. Il capitale azionario, pur subendo perdite nell’ordine del 60% rispetto al valore di mercato, è stato risparmiato da una tale mannaia. UBS verserà agli azionisti 3 miliardi di franchi svizzeri. Perché i soci sono stati parzialmente salvati e gli obbligazionisti subordinati no? Tanto per rendere l’idea delle conseguenze di questa vicenda, Banca d’Inghilterra e Banca Centrale Europea hanno avvertito l’esigenza di ribadire che simili misure non sarebbero possibili rispettivamente nel Regno Unito e nell’Unione Europea.

La gerarchia dei creditori nell’assorbimento delle perdite è stata sovvertita? Sì, se guardiamo al bail-in in salsa comunitaria. No, se facciamo riferimento più appropriatamente alle regole in vigore in Svizzera. I bond AT1 emessi da Credit Suisse, in coerenza con la legislazione elvetica, prevedevano l’azzeramento nel caso in cui si fosse verificato un evento scatenante (“viable event”) come un salvataggio a carico dello stato. Ed è quant’è avvenuto nelle scorse settimane: Banca Nazionale Svizzera e governo confederale hanno messo in sicurezza Credit Suisse con 109 miliardi di franchi.

E’ discutibile che Berna abbia deciso di sacrificare in toto i possessori dei bond AT1, risparmiando in parte gli azionisti. Le conseguenze di una simile operazione possono essere molto negative nel medio-lungo termine. Tuttavia, il paese alpino non ha infranto alcuna legge propria. E, soprattutto, il mercato farebbe bene a prendere atto che “junior” significa “inferiore” sul piano delle garanzie delle obbligazioni. Se compri un debito non garantito e persino subordinato, non devi limitarti a compiacerti degli alti rendimenti spuntati. Devi anche chiederti quale sia la contropartita.

Bond AT1, rischi anche da mancata call

Per anni, le banche europee hanno emesso bond AT1 e altri un po’ meno rischiosi per irrobustire il proprio patrimonio.

Si sono avvalse così delle regolamentazioni nazionali, che hanno consentito loro di computare tali obbligazioni per metà come capitale e per l’altra metà a debito. I creditori hanno confidato quasi in misura illimitata su questi strumenti. Pensavano di avere scoperto l’eldorado, riuscendo a ottenere sia rendimenti sopra la media del mercato e sia la sicurezza che non avrebbero quasi mai inflitto perdite reali.

Il caso Credit Suisse è stato una sveglia. I bond AT1 sono quel che scrivono sui prospetti informativi, asset rischiosi e capaci di far perdere per intero il capitale, pur solo dopo l’azzeramento del capitale azionario nell’Unione Europea. C’è, però, anche da noi un rischio sottovalutato: che il capitale non sia rimborsato alle date “callable” fissate. Questo genere di obbligazioni non ha scadenze. Il rimborso potrebbe non avvenire mai. Le banche hanno sinora quasi sempre provveduto ad esercitare la facoltà di rimborso del capitale per ragioni di reputazione. Solo Santander nel 2019 sfuggì alla regola generale, peraltro senza incorrere in alcuna sanzione di mercato.

Tuttavia, se per rimborsare un bond AT1 bisogna rifinanziarsi sul mercato a condizioni penalizzanti, l’esercizio della call deve considerarsi tutt’altro che scontato. Ed è probabile che d’ora in avanti le banche prendano il dovuto coraggio per fare i propri interessi, anche al costo di urtare la suscettibilità degli obbligazionisti. Due banche tedesche hanno appena annunciato il mancato rimborso di scadenze imminenti. Altre seguiranno nel tempo, man mano che il mercato avrà digerito il significato pregnante degli asset subordinati che detiene in portafoglio. Questi saranno più costosi da emettere e verosimilmente le banche faranno ricorso ad altri strumenti per rimpinguare il capitale. E non sarebbe un male che per rafforzarsi sul piano patrimoniale la smettessero di puntare solo su espedienti contabili.

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