Si è concluso ieri il collocamento del 17-esimo BTp Italia, nello specifico con scadenza 28 giugno 2030 (ISIN: IT0005496994). La cedola minima reale garantita è stata confermata dal Tesoro a 1,60%. Premio fedeltà dell’1% tra un acconto dello 0,40% corrisposto dopo quattro anni e dello 0,60% alla scadenza. Il bond è indicizzato all’inflazione FOI ex tabacchi dell’ISTAT. A tale proposito, il Tesoro ha reso noto che l’indice iniziale con cui confrontare le successive variazioni dei prezzi al consumo è di 109,72. Questi sono in estrema sintesi i dati essenziali dell’emissione.

E i risultati? Al termine della Prima Fase del collocamento riservata agli investitori individuali o retail, le prenotazioni raccolte ammontavano a 7,26 miliardi di euro. Ad esse si sono sommati ordini per 2,2 miliardi durante la mattinata di giovedì, da parte degli investitori istituzionali.

Confronto con emissione precedente

Complessivamente, il collocamento del BTp Italia 2030 ha esitato ordini per 9,44 miliardi, significativamente inferiori ai 22,3 miliardi raccolti dal Tesoro con la precedente emissione nel maggio 2020 del BTp Italia 2025. In quell’occasione, le sole prenotazioni arrivate dal canale retail ammontarono a 14 miliardi, quasi il doppio di quelle di questa settimana.

Già questo dato accende i fari sul semi-flop dell’emissione. Due anni fa vi erano molte meno ragioni in apparenza per investire su un bond indicizzato all’inflazione, dato che in quei mesi la principale preoccupazione del mercato riguardava la possibile deflazione. I prezzi al consumo, ad esclusione degli alimentari, ripiegavano a causa delle chiusure. Gli italiani non potevano uscire di casa per via delle restrizioni anti-Covid, consumavano lo stretto necessario e ingrossavano il conto in banca per l’impossibilità di spendere.

Risultati BTp Italia prima del rialzo dei tassi

Stavolta, l’emissione del BTp Italia 2030 è arrivata nel bel mezzo di una corsa dell’inflazione mai così sfrenata dal 1986. La ricerca di protezione dall’inflazione appare il business del momento, eppure ciò non ha spronato a sufficienza le famiglie italiane a puntare sul bond retail.

I miliardi raccolti con il collocamento non sono in assoluto pochi, ma neppure così tanti, considerata la fase. Questo può significare due cose: o le famiglie credono che l’inflazione sia passeggera e non valga la pena impiegare capitali in titoli indicizzati o hanno scarsa fiducia nella sostenibilità del debito pubblico per gli anni futuri.

Nel secondo caso, verrebbe da chiedersi se considerassero più sostenibile il debito italiano in piena pandemia. Forse l’allora varo del PEPP da parte della BCE aveva migliorato le aspettative del mercato circa i nostri titoli di stato. Viceversa, il rialzo dei tassi prospettato da luglio in poi starebbe indebolendone l’outlook. Sta di fatto che il flop c’è stato. Non certo ai livelli drammatici del novembre 2018, quando il Tesoro raccolse appena 2,16 miliardi di euro, di cui 860 milioni dalle famiglie. Erano le settimane di estrema tensione tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici. Al governo c’era la maggioranza “giallo-verde”. Oggi, c’è Mario Draghi sorretto da quasi tutto il Parlamento. Ma la fiducia nel debito non decolla.

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