Un annuncio a sorpresa è arrivato ieri dal Messico, con un rialzo dei tassi adottato dal governatore della banca centrale (Banxico, nel gergo giornalistico). Alejandro Diaz ha aumentato il costo del denaro dal 4% al 4,25%. Nessuno tra gli analisti intervistati da Bloomberg si aspettava una simile mossa. La misura si è resa necessaria, ha spiegato il governatore, per contrastare l’inflazione. Questa in aprile ha toccato il picco del 6,1%, frenando al 5,9% a maggio. Tuttavia, secondo le stime diffuse dall’istituto, nei primi di giugno sarebbe tornata leggermente a crescere al 6,02%.

In reazione alla stretta monetaria, il tasso di cambio tra peso messicano e dollaro è andato in orbita. La valuta emergente è arrivata a guadagnare il 2,4%, scendendo a 19,72. Dal crollo subito nel marzo dello scorso anno, quando la pandemia si era appena diffusa nell’Occidente, il peso risulta essersi rafforzato di oltre il 20%.

L’annuncio di Banxico è rilevante, per quanto stiamo parlando della banca centrale di un’economia emergente. Di fatto, abbiamo un governatore che ha appena ammesso che il rialzo dei tassi si renda necessario per contrastare un’inflazione affatto “transitoria”. Diaz sarà sostituito a fine anno dall’attuale ministro delle Finanze, Arturo Herrera. Probabile che proprio l’essere in scadenza di mandato abbia agevolato il compito. Ad oggi, tutti i principali banchieri centrali nel mondo hanno ripetuto la storia degli effetti transitori dell’inflazione.

Rialzo dei tassi e impatto sui bond

Il rendimento del bond sovrano a 10 anni è salito al 7,26%, il livello più alto dal marzo 2020. La scadenza a 2 anni offre il 5,72%, ai massimi da aprile 2020. Questo rialzo dei tassi, che potrebbe non essere l’unico quest’anno, impatterà con ogni probabilità sulla forma della curva messicana. Se il mercato si convince che Banxico sarà in grado di contrastare l’inflazione, dovrebbe pretendere rendimenti minori sulle lunghe scadenze, mentre sconterà rendimenti più alti su quelle brevi.

La curva diverrebbe più piatta.

Banxico ha un target d’inflazione del 3% più un margine di tolleranza dell’1% sopra e sotto di esso. Di fatto, l’inflazione può muoversi tra un minimo del 2% e un massimo del 4%. Ai livelli attuali, si colloca al 50% sopra la soglia massima. La stretta appena varata dovrebbe impattare positivamente sul tasso di cambio. E ciò avrebbe effetti benefici proprio sull’inflazione, riducendo il costo dei beni importati e agevolando il compito dell’istituto.

Per il mercato obbligazionario mondiale, tuttavia, quanto accaduto può segnare una svolta circa la narrazione della reflazione in corso. La storiella che si tratti di un fenomeno temporaneo potrebbe essere gradualmente sostituita dalla presa d’atto che certe filiere produttive abbiano nei fatti captato i rialzi dei prezzi, trasferendoli definitivamente al consumatore finale. Se così fosse, il rialzo dei tassi sarebbe meno lontano di quanto immaginiamo oggi in Nord America e la stessa Europa.

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