A settembre, la BCE potrebbe decidere di avviare il graduale percorso di uscita dall’accomodamento monetario, riducendo gli acquisti settimanali di bond. Pur mantenendo teoricamente intatto il programma emergenziale (PEPP) a 1.850 miliardi di euro, il segnale per il mercato sarebbe chiaro: fine della fase di sostegno estremo ai governi. Ne seguirebbe un rialzo dei rendimenti obbligazionari lungo la curva.

Proprio per evitare che ciò accadesse troppo presto e impattasse negativamente sull’incipiente rimbalzo del PIL, la BCE ha evitato di rallentare gli acquisti in estate.

E date le incertezze relative alla variante Delta, ben ha fatto a rinviare tale appuntamento. Tuttavia, quando deciderà prima o poi di iniziare a normalizzare la politica monetaria, non è detto che si avrà un immediato e drastico rialzo dei rendimenti.

Nel marzo 2020, all’arrivo della pandemia in Europa l’istituto varò un piano straordinario di acquisti, fissato inizialmente in 750 miliardi. L’intento fu di sostenere la liquidità sui mercati in una fase di caduta dei prezzi, ma anche di consentire ai governi di reagire alla crisi con un’appropriata politica fiscale. In buona sostanza, il PEPP è servito a monetizzare le emissioni nette di debito pubblico nell’Eurozona.

Rialzo dei rendimenti non scontato con la fine del PEPP

L’esperimento è riuscito. Questo stesso anno, tra PEPP e “quantitative easing”, le emissioni nette di debito saranno più che assorbite dagli acquisti di bond della BCE. E’ per questo che non notiamo alcun rialzo dei rendimenti significativo, malgrado i timori del mercato e i deficit alle stelle di molti stati. Naturale che ci si preoccupi per quando questo sostegno da parte di Francoforte verrà meno. Ma è necessario aggiungere che nel 2022, i governi dell’area taglieranno (si spera) significativamente le emissioni di debito.

Le economie continueranno ad avere bisogno del supporto fiscale ancora per qualche anno, ma in dosi minori rispetto alla fase acuta dell’allarme sanitario.

Mentre la BCE inizierà a tagliare gli acquisti di bond, lo stesso faranno i governi con le emissioni. Certo, se il PEPP s’interrompesse a fine marzo 2022 senza alcuna compensazione sul piatto, i problemi scaturirebbero. Ma con un prolungamento del programma, magari sempre entro i limiti dei 1.850 miliardi stanziati, unitamente a un potenziamento del QE, il quadro rimarrebbe grosso modo invariato. E se c’è una cosa che tutti hanno compreso dopo il disastro di 10 anni fa è che politica monetaria e politica fiscale debbano parlarsi tra loro.

[email protected]