Chi ha in portafoglio assets denominati in lire turche sa ormai da qualche anno che è difficile dormire tranquilli la notte. Il cambio contro l’euro ha perso solo quest’anno il 27% e oggi si attesta a circa 9,1530. L’apice della crisi è stato toccato un paio di settimane fa, quando la banca centrale contrariò per l’ennesima volta il mercato, tenendo i tassi invariati e provocando un’accelerazione nei deflussi dei capitali. Tuttavia, nei giorni scorsi il presidente Recep Tayyip Erdogan ha destituito il governatore centrale, ponendo a capo dell’istituto il suo ex ministro delle Finanze, Naci Agbal, considerato autorevole dagli investitori.

E così, negli ultimi dieci giorni la lira turca ha risalito la china contro la moneta unica, guadagnando il 9,5%. Un bel guadagno per chi avesse acquistato assets nella valuta emergente in data 6 novembre, magari fiutando che il cambio avesse toccato un “floor” momentaneo. Prendete le obbligazioni sovranazionali emesse in lira turca. Sono esposte alla volatilità del cambio, ma allo stesso tempo si mostrano massimamente sicure sul piano dell’affidabilità creditizia. Chi le emette sono enti con rating tripla A, in quanto garantiti dagli stati membri.

Uno di questi bond è quello emesso dalla Banca Inter-Americana per lo Sviluppo con scadenza 25 ottobre 2021 e cedola 26,50% (ISIN: XS1895133723). Oggi il titolo si acquista a 111,41, per cui offre un rendimento alla scadenza dell’11,75%. Negli ultimi 10 giorni, ha guadagnato lo 0,80%, per cui tra effetto cambio e movimento dei prezzi, esso ha fruttato oltre il 10%.

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Guadagni fino al 16% in 10 giorni, ecco un esempio

Meglio ancora è andata ai possessori del bond con scadenza agosto 2023 e cedola 16% (ISIN: XS1860487252) emesso dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Oggi, scambia a 106,44, quasi il 5% in più rispetto al 6 novembre scorso. In totale, quindi, questa obbligazione ha reso ben più del 15%, sempre in appena una decina di giorni.

Facciamo un esempio per capire meglio, utilizzando i dati del secondo bond qui proposto. Se il 6 novembre avessimo voluto investire in 1.000 lire nominali, avremmo dovuto spenderne 1.015,60, che al cambio del giorno sarebbero state pari a 100,35 euro. Se oggi lo rivendessimo, incasseremmo 1.064,40 lire, che al cambio odierno farebbero circa 116,20 euro. In altre parole, avremmo guadagnato quasi 16 lire su ogni 100 investite per un rendimento, appunto, di circa il 16%.

I mercati tendono ad esaltare nel breve termine le notizie in un senso o nell’altro. A fine ottobre, la lira turca crollava ai nuovi minimi storici sul mancato rialzo dei tassi, adesso si è riportata ai livelli di fine settembre sulle attese di una politica monetaria più efficiente e meno alla mercé dei desiderata del governo. Ma a ben vedere, questo cambiamento è avvenuto esclusivamente su volontà del presidente Erdogan, lo stesso che ha impedito negli ultimi anni alla banca centrale di svolgere appieno il proprio lavoro. Ciò significa anche che con ogni probabilità Erdogan ha offerto ai mercati un agnello sacrificale per contenere le tensioni finanziarie, prospettando un nuovo inizio su tassi e lotta all’inflazione. Questa apparente “pace” durerà giusto il tempo di calmare le acque e finché la nuova stretta che verrà non minaccerà la ripresa dell’economia turca. Non è cambiato nulla con il licenziamento del vecchio governatore a favore del nuovo. In Turchia comanda sempre e solo il “sultano”.

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