L’esplosione del debito pubblico italiano a circa il 160% del PIL a fine anno fa tornare in auge il dibattito ormai pluriennale su una possibile patrimoniale a carico delle famiglie. La Spagna la imporrà dall’anno prossimo sui grossi patrimoni di oltre 10 milioni di euro, mentre il premier Giuseppe Conte ha dichiarato nei giorni scorsi in Parlamento che il suo governo starebbe compiendo “sforzi immani” per non aumentare la tassazione. E dopo qualche giorno, il presidente Sergio Mattarella ha auspicato che i risparmi vengano usati per sostenere la ripresa dell’economia italiana dopo l’emergenza Covid.

Sembrano tutti spunti che vanno a consolidare il dubbio che prima o poi anche da noi arrivi una imposta patrimoniale esplicita, fatto salvo che oramai da anni non vi sia alcun asset che non venga tassato. Se così accadesse, cosa ne sarebbe dei BTp?

Il rischio di una patrimoniale cresce, attenzione massima a conto corrente e casa

Le famiglie italiane detengono direttamente all’incirca il 5% dell’intero stock del debito sovrano domestico, qualcosa sui 130 miliardi di euro. Se arrivasse una patrimoniale, quasi certamente lo stato esenterebbe i titoli del debito da esso stessi emessi dalla stangata. Questo significa forse che i BTp sarebbero salvi? Non esattamente. Essi sono detenuti dalle famiglie perlopiù indirettamente, cioè attraverso investimenti in fondi e assicurazioni. E tali valori necessariamente rientrerebbero tra gli assets sottoposti a una patrimoniale, per cui indirettamente i titoli di stato ne risulterebbero colpiti anch’essi.

Solo possibili benefici a breve termine per i BTp esentati

Per non parlare delle difficoltà operative che le famiglie avrebbero nel pagare l’imposta. Poiché solo una parte dei 10 mila miliardi di euro di ricchezza privata è detenuta in forma liquida, moltissimi si troverebbero costretti a monetizzare alcuni assets finanziari, se non persino fisici, al fine di recuperare il gettito dovuto allo stato.

Liquidando le quote nei fondi d’investimento, ad esempio, finirebbero indirettamente per scatenare vendite di azioni, obbligazioni e, appunto, di BTp. Inoltre, proprio per la necessità di monetizzare subito, molte famiglie potrebbero trovare indispensabile rivendere titoli molto liquidi come i BTp in portafoglio.

Per contro, molti capitali si sposterebbero dagli assets stangati ai BTp esenti dalla patrimoniale, al solo fine di sfuggire all’imposta. Questo fenomeno ne sosterrebbe la domanda, al netto delle considerazioni di cui sopra. Ma con ogni probabilità si tratterebbe di un vantaggio momentaneo per i nostri bond, giusto il tempo che le famiglie riescano a impiegare in maniera più proficua e sicura i loro risparmi. Dati i bassissimi rendimenti offerti o persino negativi, infatti, i BTp sono diventati fino alle medio-lunghe scadenze perfetti sostituti del denaro in contante.

Per concludere, ci sembra difficile che una patrimoniale possa sostenere l’appetito per i titoli di stato e certamente non nel lungo periodo. Anche perché uno stato che stanga il risparmio favorisce generalmente la fuga dei capitali all’estero, magari attraverso strade opache, un po’ come nei decenni passati con l’esportazione illegale di centinaia di miliardi, più volte condonate e solo in parte rientrate. E il debito di un emittente che si mostra punitivo a posteriori verso i suoi cittadini di certo non scalda i cuori degli investitori neppure all’estero.

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