La borsa americana ieri ha chiuso in brusco calo, con l’indice S&P 500 ad avere perso l’1,5%. Alla base del ripiegamento c’è stato il netto aumento dei rendimenti lungo la curva dei Treasuries. La scadenza a 10 anni è arrivata ad offrire l’1,74%, quella a 30 anni il 2,5%. Stamattina, i rendimenti sono scesi dai massimi degli ultimi 14 mesi, ma restano su livelli nettamente superiori a quelli di inizio anno, quando il decennale si aggirava sullo 0,90% e il trentennale sull’1,65%.

Poiché rendimenti e prezzi si muovono in direzioni opposte, il boom dei primi segnala il tonfo dei secondi.

Il mercato vende obbligazioni per due ragioni: sconta un’inflazione più alta e ha minore paura per l’economia mondiale, liberandosi dei “safe assets” e acquistando titoli più rischiosi come le azioni. Ma allora perché le borse stanno risentendo negativamente di questa impennata dei rendimenti? Non dovrebbero beneficiarne?

Per rispondere alle due domande, bisogna capire cosa muove gli investitori sui mercati finanziari. Acquistando titoli del debito, essi portano generalmente a casa un reddito fisso (esistono anche le cedole variabili), a fronte di un rischio contenuto. Quando si diventa azionisti, invece, si punta sostanzialmente a guadagnare dalle variazioni dei prezzi più che dallo stacco dei dividendi, sebbene le prime risentano dell’andamento dei secondi. E le azioni sono molto più volatili e rischiose, tant’è che nei momenti in cui prevale l’avversione al rischio se ne riduce la quantità in portafoglio a favore proprio dei bond, oltre che della liquidità.

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La correlazione bond-azioni

Detto questo, un investitore tende a comprare azioni e bond sulla base della relativa remuneratività. Ieri, un’azione quotata all’indice S&P 500 valeva mediamente quasi 40 volte l’utile medio maturato. Pertanto, il suo rendimento teorico medio era del 2,5% annuo.

Allo stesso tempo, il dividendo effettivamente staccato risultava di circa l’1,5%, appena inferiori ai livelli di fine 2020. Nel frattempo, però, dicevamo che il rendimento a 10 anni del Treasury è quasi raddoppiato dallo 0,90% all’1,70%, allineandosi all’ultimo tasso d’inflazione rilevato negli USA per il mese di febbraio.

In soldoni, se compri azioni a Wall Street dovresti ritrovarti a percepire un dividendo medio inferiore al rendimento dei bond a lungo termine e allo stesso tasso d’inflazione. E poiché i bond sono titoli più sicuri rispetto alle azioni, ciò significa che il premio al rischio a favore del mercato offerto dalle seconde non solo non esisterebbe più, ma risulterebbe più che divorato dalla perdita del potere di acquisto. La borsa americana sta diventando sempre meno conveniente rispetto al debito.

Peraltro, gioca a sfavore anche il fattore cambio. Rendimenti USA nettamente più alti di quelli vigenti nel resto del mondo avanzato attirano capitali dall’estero e rafforzano il dollaro. Ciò rende più costoso acquistare azioni per gli investitori esteri, quando già si dubita sull’ulteriore crescita dei prezzi, visto il boom registrato dal 2009 e interrotto solo brevemente dalla pandemia. Infine, se un investitore iper-conservatore allungasse l’orizzonte temporale e guardasse ai Treasuries a 30 anni, si accorgerebbe di avere di fronte assets a rischio zero e con rendimento lordo del 2,5%, quanto quello che mediamente le principali società quotate gli offrirebbero nel caso in cui distribuissero il 100% degli utili attesi.

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