Non è un buon momento per i titoli di stato italiani, che malgrado i forti acquisti della BCE loro dedicati, non riescono ad allontanarsi da uno spread a 10 anni in area 200 punti base. Ieri, è arrivato a toccare i 214 bp quando i mercati hanno dovuto digerire il flop dell’Eurogruppo. Un lettore ci chiede se vi sia una qualche ragione che giustifichi la performance particolarmente negativa di un bond: il BTp marzo 2036 e cedola 1,45% (ISIN: IT0005402117), emesso per la prima volta nel febbraio scorso.

Il titolo perde quasi il 5% dal 26 marzo scorso, data in cui si registra una nuova ondata di vendite ai danni del debito sovrano italiano.

BTp marzo 2036, errata corrige su cedola 1,45%

Nella seduta di ieri, offriva un rendimento del 2,11%, nettamente superiore al valore della cedola fissata appena un paio di mesi fa. Allora, infatti, la curva delle scadenze era tutta più bassa e, anzi, in quei giorni i nostri bond toccavano livelli di rendimento ai minimi di sempre su alcune scadenze. Il lettore sembra avere ragione nel constatare che questo BTp stia andando peggio degli altri di durata residua simile. In effetti, il BTp settembre 2036 e cedola 2,25% (ISIN: IT0005177909), pur avendo accusate sostanzialmente le stesse perdite nelle ultime due settimane, ieri rendeva il 2,04%, cioè 7 centesimi di punto in meno, a fronte di una longevità di 6 mesi maggiore.

BTp marzo 2036 rende a premio

E persino il BTp febbraio 2037 e cedola 4% (ISIN: IT0005177909), che ha perso il 5% dal 26 marzo scorso, ieri rendeva esattamente il 2%, stavolta a fronte di quasi un anno più lungo. Eppure, non sembra esservi alcun problema particolare di liquidità, con il mese di marzo che ha visto passare di mano sul secondario oltre un quinto dei 9 miliardi di euro di titoli emessi per la scadenza. Cosa non va? Strano a dirsi, ma volendo nulla. Semplicemente, questo bond è nato con un “difetto”, quello di avere una cedola piuttosto bassa.

Ciò significa che nei momenti di ripiegamento, i prezzi devono contrarsi maggiormente per esitare un dato rendimento.

Se questa spiegazione è vera, si potrebbe eccepire che proprio il rendimento preteso dal mercato su questa scadenza sia superiore a quello di scadenze più lunghe. E la risposta risiederebbe ancora una volta nella cedola, ma non solo. Il tasso d’interesse annualmente garantito dal bond risulta più basso di quello di altri bond di durata simile, per cui in questa fase buona parte del mercato starebbe optando per soluzioni d’investimento che garantiscano un flusso di reddito maggiore. Inoltre, essendo stato emesso da poco e con l’intento di diventare il prossimo “benchmark” a 15 anni, probabile che i fondi lo stiano temporaneamente snobbando a favore del BTp marzo 2035, l’attuale riferimento per il quindicinale italiano. E, in effetti, questo rendeva ieri l’1,93%.

Dunque, nulla di anomalo, quanto semplici fattori tecnici che starebbero deponendo a sfavore del BTp marzo 2036. In generale, sappiamo già che quando la cedola è bassa, la “duration” del titolo si allunga e, quindi, la volatilità risulta più elevata; un bene quando i rendimenti scendono, una iattura quando salgono. La risalita del prezzo, dunque, si mostra più stentata per questo bond, almeno fino a quando il rendimento non dovesse tornare su livelli prossimi alla cedola.

Per investire in bond conta la cedola, non solo il rendimento

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