Nel mondo esiste una massa di obbligazioni per un controvalore di 15.000 miliardi di dollari, perlopiù societarie o corporate, che esita rendimenti negativi. La caccia al rendimento scatenatasi di conseguenza tra gli investitori istituzionali e non ha spinto verso l’alto anche le quotazioni dei bond di durata più lunga e quelli più rischiosi. Negli USA, ad esempio, dove ancora il comparto obbligazionario mostra una parvenza di normalità, i rendimenti medi delle obbligazioni “junk” sono scesi sotto il 6%, ai minimi da 5 anni, riducendo le distanze con le obbligazioni con rating “BBB” a circa 165 punti base o 1,65%.

All’inizio dell’anno, lo spread tra i due segmenti risultava pari a 330 punti, cioè al doppio di oggi.

Le obbligazioni cinesi fanno gola e quelle “junk” rendono a doppia cifra

Nelle scorse settimane, Bloomberg ha notato che bond emessi da 14 emittenti “junk” rendevano sottozero sul mercato secondario, un fatto che ha del paradossale, essendo anche definiti questi titoli generalmente come “high yield”, cioè ad “alto rendimento”, a causa dell’elevato rischio che comportano a carico di chi li acquista. E ci sono economie emergenti come la Turchia, che nonostante facciano di tutto per indispettire gli investitori, da qualche mese assistono a un calo costante dei rispettivi rendimenti sovrani, proprio perché il mercato non può più permettersi di fare le pulci ai debitori, siano essi pubblici o privati. Del resto, malgrado l’alto spread, anche i nostri BTp offrono pochissimo.

Obbligazioni “spazzatura” più rischiose

Ma è logico che le obbligazioni “spazzatura” rendano così poco? La caccia al rendimento di questi mesi consegue alla previsione di ulteriori stimoli monetari da parte delle principali banche centrali. La Federal Reserve è tornata a tagliare i tassi, la BCE ha segnalato di volerlo fare e in Oceania e Asia accade lo stesso. Un costo del denaro più basso inietta sui mercati maggiore liquidità e sostiene i corsi obbligazionari e azionari.

In un certo senso, il solo fatto che le politiche monetarie stiano diventando più accomodanti implica minori rischi a carico degli emittenti teoricamente meno solidi, ossia anche più indebitati.

Dall’altra parte, che i rendimenti siano così infimi deriva dal fatto che il mercato si stia buttando sul comparto obbligazionario per timore delle condizioni dell’economia mondiale. I bond garantiscono flussi di reddito certi nel corso dell’investimento, ragione per cui diventano preferibili nelle fasi avverse. Tuttavia, se chi li emette soffre per via della congiuntura negativa, questi debiti diventano un azzardo. E le obbligazioni “non investment grade” sono tanto più rischiose, quanto più nubi si addensano sullo stato di salute dell’economia.

Il taglio dei tassi atteso della Fed fa collassare i rendimenti “junk” negli USA

In altre parole, i fattori che stanno scatenando la caccia al rendimento nel mondo, facendo impennare la massa dei titoli con rendimenti negativi ai massimi di sempre, riflettono incertezze e timori, che in teoria segnalerebbero rischi di credito crescenti per il comparto “spazzatura”. E ciò dovrebbe esprimersi in spread più alti con il comparto “investment grade”, mentre sta accadendo il contrario, non già perché il mercato sconti previsioni più ottimistiche sul primo, quanto per la classica bolla finanziaria che starebbe auto-alimentandosi e ingigantendosi.

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