Il timore della tassa patrimoniale ma non solo alla base della fuga di denaro in Svizzera – Italia-Svizzera, solo andata. Un fiume  di denaro in piena sta uscendo dai confini italiani per finire nelle banche del vicino paradiso fiscale. I banchieri italiani sono preoccupatissimi perché le casse degli istituti, già in profonda crisi di liquidità rischiano di restare quasi a secco. E la crisi europea c’entra fino a un certo punto. Il resto lo fanno i politici gettando benzina sul fuoco in un momento non certo propizio per raffreddare gli animi della gente preoccupata per i propri risparmi.

Così la paura della tassa patrimoniale, la crisi dell’euro amplificata dai media, il fisco cannibale che tutto divora senza pietà, e l’Agenzia delle Entrate che adesso passa ai raggi X i conti in banca per scovare possibili evasori, non fanno altro che alimentare i timori della gente e conseguente la fuga di capitali verso la vicina Svizzera, ma anche (in misura minore) verso il Principato di Monaco e San Marino. Numeri alla mano – stima un noto banchiere milanese – si tratta di cifre, regolarmente trasferite, che si avvicinano ai 100 miliardi di euro solo per il 2011. Ma la cosa più sorprendete – prosegue il banchiere abbastanza preoccupato – è che i clienti stanno trasferendo i loro patrimoni mobiliari nella vicina Confederazione elvetica alla luce del sole, attraverso i regolari canali bancari (bonifici, trasferimenti titoli), quindi non con l’intenzione di eludere il fisco o di nascondere i soldi, ma semplicemente per proteggere i loro risparmi da quella che potrebbe diventare presto un’emergenza liquidità o da un prelievo forzoso sui conti correnti come fece il governo Amato nel 1992. Si tratta quindi di operazioni regolari e lecite, poiché ogni risparmiatore può depositare i propri risparmi in qualsiasi banca del mondo nel rispetto delle leggi antiriciclaggio e sui trasferimenti valutari.

 

Anche capitali in nero e lingotti d’oro attraversano il confine ogni giorno

Ma il fenomeno si sta intensificando anche ai valichi di frontiera dove la Guardia di Finanza ha già sequestrato dall’inizio dell’anno più di 5 milioni di euro di valuta non dichiarata in entrata verso la Svizzera (fonte: Agenzia delle Dogane). Si tratta per lo più di contanti e di denaro sporco nelle mani più che altro di extracomunitari – fa notare un funzionario dell’Agenzia delle Dogane di Chiasso – che non ha nulla a che vedere con il fenomeno della fuga di capitali verso la Svizzera tramite i normali canali bancari, giacché la legge non consente l’esportazione di valuta per più di 10 mila euro, cifra che dovrebbe comunque essere giustificata in dogana in rispetto delle leggi antiriciclaggio. Tuttavia queste cifre sono indicative di quanto l’esportazione di capitali abbia assunto ultimamente connotazioni preoccupanti, dato che solo l’anno scorso la cifra sequestrata ai valichi di frontiera non aveva superato i 2,5 milioni di euro. Un recente servizio televisivo de La7, volto a evidenziare fino a che punto la paura ha preso il sopravvento sui risparmiatori, ha messo in luce anche un ingente traffico di lingotti d’oro che attraversa più o meno regolarmente il confine per andare a finire nelle cassette di sicurezza delle banche di Lugano. In pratica i risparmiatori trasformano i capitali in piccoli lingotti di oro massiccio accollandosi grosse spese, commissioni e rischi di svalutazione della quotazione, e li trasportano nei forzieri delle banche svizzere, pur di mettersi al riparo dalla crisi e dal fisco (non si sa ancora bene cosa sia peggio).

 

Aprire un conto in Svizzera è più semplice che in Italia

La stampa non ne parla e i media trascurano il fenomeno, ma se il franco svizzero si è rafforzato in misura tale contro euro al punto che la Banca Centrale di Berna ha dovuto intervenire per ben due volte nel giro di tre mesi sul cambio per frenare la corsa della valuta elvetica, il merito è anche e soprattutto dell’Italia.

Molti risparmiatori e investitori, oggi più preparati che in passato grazie anche alle informazioni che si possono reperire su internet, hanno deciso di diversificare i loro depositi. Mentre prima una famiglia media aveva due o tre conti correnti attivi in Italia, ora sta cominciando a considerare l’opportunità di averne uno anche in Svizzera. L’apertura e la gestione di un conto a Lugano (in euro, in franchi o altre valute), del resto, è molto più semplice che in Italia, contrariamente a quanto si possa immaginare. Niente burocrazia e procedure snelle nel massimo rispetto della privacy e della segretezza bancaria. Alcune banche, come Postfinance, permettono l’apertura del conto anche via posta, basta solo la copia di un documento d’identità e un bonifico bancario per l’identificazione. I costi di gestione non sono diversi che in Italia e le movimentazioni si possono comodamente controllare anche da casa via internet. Il vantaggio sta però nel fatto che non ci sono imposte di bollo né sugli estratti conto, né sui depositi, così come non si pagano tasse sul capital gain o sulle cosi dette rendite finanziarie. Ovviamente toccherà poi al singolo correntista dichiarare eventuali interessi percepiti e plusvalenze soggetti a tassazione in Italia, tramite dichiarazione dei redditi (quadro RW del modello Unico) a meno che non si avvalga dell’opzione in regime amministrato che prevede una ritenuta del 35% (euro ritenuta). L’unica spesa, se si opta per un conto privato non cifrato, è costituita dai diritti di deposito che vanno dallo 0,1% del patriomnio allo 0,3% a seconda della banca. Una percentuale che nella maggior parte dei casi è contrattabile se si decide di investire una parte dei risparmi in obbligazioni di cassa o si deventa soci della banca.
Ma il motivo per cui molti italiani vanno oltreconfine è essenzialmente dovuto alla paura di una improvvisa tassa patrimoniale sui depositi bancari o di una crisi di liquidità del sistema creditizio che limiti la disponibilità del proprio contante. In questo senso – osserva un attento fiscalista – è da intendersi anche la recente misura di abbassamento della soglia di utilizzo del contante a 1.000 euro che, ufficialmente e da una parte vuole combattere il fenomeno dell’evasione fiscale, ma dall’altra intende frenare la corsa ai prelievi di capitali allo sportello. Giusto per fare un paragone, le banche svizzere, normalmente, consentono di prelevare fino a 50,000 franchi senza preavviso e l’evasione fiscale è fra i livelli più bassi in Europa.

 

In arrivo un accordo per tassare i fondi neri in Svizzera

Il fenomeno sembra ormai sfuggito di mano alle banche e al governo che è più che mai intenzionato a raggiungere al più presto un accordo bilaterale con la confederazione elvetica per la tassazione dei capitali detenuti in Svizzera da soggetti fiscalmente residenti in Italia e non dichiarati al fisco. La firma di un accordo simile, sulla falsariga di quanto già fatto da Germania e Gran Bretagna, potrebbe essere vicino soprattutto dopo l’uscita di scena del ministro dell’economia Tremonti, da sempre inviso agli svizzeri. Gli esperti stimano che l’applicazione di un’imposta liberatoria del 20-25% dei capitali non dichiarati al fisco italiano possa contribuire all’erario con un gettito immediato di 2-3 miliardi di euro ai quali si dovranno poi aggiungere le tasse per gli interessi percepiti e non dichiarati in Italia per gli anni di riferimento. Insomma un accordo che andrebbe a colpire in realtà gli evasori, ma non coloro che hanno deciso di aprire regolarmente un conto in Svizzera dichiarandolo apertamente al fisco italiano. Del resto, anche la direzione imboccata dalla Svizzera in questo senso, dopo i recenti scontri diplomatici avvenuto con gli Stati Uniti relativamente alla creazione di fondi di cittadini americani neri presso il Credit Suisse è abbastanza chiara: limitare l’apertura di depositi non dichiarati al fisco del paese di residenza del depositante.