Successo per la terza emissione di obbligazioni Tier 2 nel 2019 da parte di Unicredit. Ieri, la banca italiana ne ha collocate sul mercato per un controvalore di 1,25 miliardi di euro e durata 10 anni, “callable” dopo 5 anni, registrando ordini per 3 miliardi da parte di 200 investitori istituzionali, di cui l’82% fondi. L’84% della domanda è arrivata dall’estero e in dettaglio: 36% Regno Unito, 24% Francia e 8% Germania/Austria. Grazie al riscontro robusto, il rendimento è stato rivisto al ribasso rispetto alla guidance iniziale, che lo collocava in area 265 punti base sopra il tasso “midswap”.

Invece, il prezzo esitato è stato di 99,783 e la cedola è stata fissata al 2%, per cui il rendimento sarà pari a 240 bp sopra il midswap a 5 anni, con quest’ultimo ieri ad attestarsi al -0,35%.

Come funziona? Il bond garantisce un rendimento del 2,05% per i primi 5 anni, staccando cedola al 2%. Successivamente, la banca ha di fronte a sé due strade: rimborsarlo con l’esercizio dell’opzione “call” o portarlo alla scadenza dei 10 anni. Nel secondo caso, riconoscerebbe all’obbligazionista un rendimento pari al “midswap” e sempre incrementato dei 240 bp, cioè lo spread iniziale. La quotazione avverrà presso la Borsa del Lussemburgo. Il rating del titolo è “Baa3” per Moody’s, “BB+” per Standard & Poor’s e “BBB-” per Fitch.

Unicredit emette due bond per 3 miliardi di dollari

Le attese del mercato sul Tier 2

Lo spread esitato è stato il più basso per Unicredit dal 2011 per questo titolo di strumenti. Ricordiamo che il Tier 2 è un’obbligazione subordinata, che prevede un rischio a carico del titolare superiore alle obbligazioni senior, potendo partecipare alle perdite della banca al verificarsi di determinate condizioni sul piano patrimoniale, oltre alle previsioni legate al “bail-in”. Ad ogni modo, chi ha acquistato ieri questo bond avrà verosimilmente scommesso sulla solidità dell’istituto da un lato, cioè sul basso rischio effettivo che il titolo possa infliggere perdite, dall’altro anche sul mancato esercizio della call dopo i 5 anni.

Obbligazioni subordinate “vietate” ai risparmiatori, giusto privarli di opportunità di guadagno?

Questo secondo aspetto va precisato: l’investitore punta generalmente ad assicurarsi un rendimento certo fino alla scadenza indicata. Nel caso specifico, a mantenere le obbligazioni Tier 2 Unicredit per i 10 anni. Ma l’emittente riterrebbe opportuno rimborsarle in anticipo dopo 5 anni, nel caso in cui il costo per portarle a scadenza risultasse superiore a quello di rifinanziamento sul mercato degli 1,25 miliardi da restituire ai creditori. E questo accadrebbe se tra un quinquennio i rendimenti saranno ulteriormente scesi rispetto ad oggi, per cui risulterebbero più bassi del midswap + lo spread sopra indicati.

Obbligazioni Unicredit in dollari

Un bond del tutto simile Unicredit lo aveva emesso a inizio anno, ma in dollari e con scadenza 15 anni, “callable” dopo 10. La cedola fissa fu fissata al 7,296% e nel caso di mancato esercizio della call, Unicredit corrisponderà tra 10 anni all’obbligazionista un rendimento pari al tasso midswap in dollari a 5 anni, maggiorato di uno spread di 491,4 bp. In quel caso, quindi, l’investitore sarà stato allettato sia dall’elevato tasso di partenza, sul quale pure incombe il rischio di cambio, nonché dalla prospettiva di un mancato esercizio della call.

Perché Unicredit ha emesso un bond in dollari così costoso?

Si tenga presente, però, che il cambio euro-dollaro atteso dal mercato tra 10 anni, quando il rimborso anticipato del capitale è possibile, sarebbe di quasi un quarto più alto rispetto ad oggi, per cui dovremmo scontare un probabile rendimento effettivo di circa il 2,3% inferiore all’anno rispetto al 5,85% esitato ieri al termine della chiusura di seduta. In pratica, circa il 3,5% contro poco più del 2% della stessa tipologia di obbligazioni in euro, seppure di durata 5 anni più corta.

Man mano che ci si avvicinerà alla data di esercizio delle call, entrambi i titoli subiranno rincari o deprezzamenti sulla base dell’andamento dei tassi di mercato.

Se saranno scesi nell’Eurozona da qui al 2024, il prezzo del Tier in euro si abbasserà per scontare un concreto rimborso anticipato; se risulteranno saliti, paradossalmente crescerà. Lo stesso dicasi per il bond in dollari: se tra 10 anni i tassi americani saranno bassi, la quotazione subirà un calo, altrimenti si apprezzerà. E’ la peculiarità di questi strumenti, che in un certo senso vanno contro la direzione del mercato obbligazionario.

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