Settimana scorsa, Unicredit ha lanciato l’emissione di obbligazioni del tipo Additional Tier 1 (AT1) per 1,25 miliardi di euro, riscuotendo un enorme successo sul mercato, tanto che la domanda ha toccato i 9 miliardi. Grazie all’ottima accoglienza tra gli investitori, la cedola esitata è stata del 3,875%, in netto ribasso dal 4,625% inizialmente ipotizzata e anche del 4,125% a cui era stata rivista nel corso del collocamento. Mai una banca ha pagato così poco per un bond subordinato in euro di questo tipo, a conferma che Piazza Gae Aulenti abbia colto nel segno.

Obbligazioni Unicredit in dollari a 3 anni e rendimento sopra il 3%

Il titolo è perpetuo, cioè formalmente risulta privo di scadenza, ma ha una “call” fissata al 3 giugno 2027. Questo significa che la banca potrebbe rimborsare gli obbligazionisti in quella data. Fino ad allora, verrà corrisposta la cedola fissa, mentre successivamente, nel caso in cui la call non venisse esercitata, verrebbe offerto un tasso annuale ricalcolato ogni 5 anni e pari al tasso “midswap” a 5 anni più un margine. Il taglio minimo iniziale è stato fissato a 100.000 euro e la quotazione avverrà alla Borsa di Lussemburgo.

Perché trattasi di un’obbligazione subordinata? Essa prevede che nel caso in cui il Common Equity Tier 1 di Unicredit scendesse sotto il minimo regolamentare del 5,125% assegnatole dalla BCE, il bond verrebbe ridotto di valore nominale fino a ricostituire il grado minimo di patrimonializzazione, tenendo conto degli altri strumenti di pari subordinazione emessi. Dunque, l’investitore corre due rischi: che il bond venga parzialmente tagliato o del tutto azzerato scattando il “trigger” e che non venga mai rimborsato.

C’è fame di “yield”

A quest’ultimo proposito, bisogna considerare che le banche siano solite esercitare la call alla data annunciata in fase di emissione, per cui il rischio di mancato rimborso sarebbe perlopiù teorico. Tuttavia, un anno fa Santander ha creato un precedente, rifiutandosi di esercitare la call alla data prevista, preferendo continuare a pagare le cedole agli investitori secondo i criteri prefissati.

Questo ha generato effettivamente qualche dubbio sull’automaticità dell’esercizio delle call, specie quando il rimborso da parte dell’emittente avverrebbe rifinanziandosi sui mercati a tassi superiori di quelli che si sosterrebbero continuando a pagare le cedole ricalcolate a tasso variabile. E questo è stato il caso della spagnola.

Pioggia di denaro sulla Grecia

Ma stiamo parlando di un evento ad oggi unico. Quanto alla cedola, risulta obiettivamente elevata, considerando che Unicredit al 31 dicembre 2019 vantasse un CET1 al 13,22% e che si tratti dell’unica banca sistemica italiana, tra le più grandi e solide d’Europa. In tempi di caccia al rendimento, persino la greca Alpha Bank ha potuto in questi giorni emettere un’obbligazione subordinata del tipo Tier 2 con cedola di appena il 4,25%. E non sembra casuale che gran parte degli ordini per Unicredit siano arrivati da fuori dell’Eurozona. Degli oltre 500 investitori che hanno partecipato all’asta, il 21% era del Regno Unito, il 12% dalla Svizzera, il 12% dall’Asia, il 20% dalla Francia e il 10% dall’Italia.

I titoli denominati in euro, infatti, fanno gola agli investitori fuori dall’area, in quanto percepiti in apprezzamento nei prossimi anni, quando il nostro tasso di cambio dovrebbe rafforzarsi contro le altre valute. Ad essersi occupati dell’asta come joint bookrunners sono stati Bnp Paribas, Citi, Deutsche Bank, Gsi, Santander e Unicredit. Quanto al rating, il bond dovrebbe ricevere il giudizio “Ba3” da Moody’s e “B+” da Fitch.

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