Fin che la barca va, lasciala andare. Ma quando la barca s’inceppa e non va più, allora si va a scoprire il motivo. Ma spesso è troppo tardi. In questi giorni il governo sta cercando di rimediare parzialmente a quello che è stato un vero e proprio default pilotato delle 4 banche italiane commissariate da tempo e “salvate” per decreto da fallimento certo sulla pelle di azionisti e obbligazionisti. Al di là degli aspetti politici e tecnici che ruotano intorno al “salvataggio” di Banca delle Marche, Popolare Etruria e Lazio, Carife e Carichieti, quello che conta qui è capire quali sono rischi che si corrono investendo denaro in bond subordinati emessi, tanto da banche quanto da aziende.

Come noto, si tratta infatti di una categoria di obbligazioni il cui valore, in caso di difficoltà da parte dell’emittente, può andare a zero. Questo è scritto su tutti i prospetti informativi e non è una novità. Difatti questi strumenti finanziari vengono sottoscritti firmando contratti particolari che richiamano alla piena visione del regolamento di emissione in ossequio anche alla normativa Mifid. Talvolta gli intermediari richiedono anche la firma di apposita manleva da parte dell’investitore, anche se ciò non esclude pienamente la responsabilità di chi propone l’investimento.   Le obbligazioni subordinate sono più rischiose di quelle senior   Il problema non è solo italiano, anche se oggi i riflettori sono tutti puntati sull’Italia. In passato vi sono stati casi analoghi anche all’estero e moltissimi di emittenti meno conosciuti si susseguono quotidianamente negli USA dove l’indice di default è doppio rispetto a quello dell’area euro. Questo perché le obbligazioni subordinate, come tutte le obbligazioni, sono dei titoli rappresentativi di un debito, che consentono a chi le acquista di diventare creditore dell’istituto emittente, incassando periodicamente degli interessi (cedole). Rispetto ai bond ordinari, però, quelli subordinati espongono i risparmiatori a un grado di rischio molto più elevato, simile a quello assunto di chi acquista un’azione.
In caso di fallimento della banca emittente, infatti, i titolari delle obbligazioni subordinate sono considerati dei creditori di serie B, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti soltanto dopo aver risarcito altri soggetti come i dipendenti della banca, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari. Non a caso gli emittenti riescono a collocare questo tipo di bond solo a fronte di un rendimento maggiore rispetto alle obbligazioni senior che godono di tutela diversa.   Quasi impossibile recuperare il denaro perso   Detto questo, cosa può fare un investitore che incappa in un crac finanziario tipo quello di Banca Marche, Popolare Etruria Lazio, Carichieti e Carife? Nella quasi totalità dei casi, nulla. Rivolgersi a un avvocato per tentare di recuperare soldi persi in obbligazioni subordinate è spesso tempo (e altro denaro) perso. Fare causa a un emittente che ha collocato bond subordinati è pressoché impossibile a meno che si venga a scoprire l’esistenza di qualche cavillo che gliene attribuisca la responsabilità. Ma i prospetti informativi – osservano gli esperti – vengono coniati a prova di bomba. Diversa è, invece, la possibilità di recuperare i soldi se la causa viene fatta contro chi propone l’investimento, cioè la banca. Se questa non ha adottato tutte le misure necessarie ad informare l’investitore e/o lo stesso ha un’età avanzata e scarse conoscenze in materia, ecco che si può tentare di recuperare i soldi persi. Come sempre, contano gli scritti e i documenti firmati e un buon legale che assista il cliente nella lunga ed estenuante lotta contro un sistema finanziario ben rodato e sempre pronto a fregare soldi ai più deboli.