Se siete investitori incalliti sui mercati finanziari avrete sentito sicuramente parlare di obbligazioni sovranazionali, sicure e al contempo poco appetibili proprio per questo. In effetti, a bassi rischi corrispondo bassi rendimenti. Ma non è sempre così, almeno non se facciamo riferimento al rischio di credito o emittente. La Banca Mondiale è uno degli organismi internazionali più prolifici sui mercati dei bond. Questa settimana, ha emesso nuove obbligazioni in dollari neozelandesi (NZD).

La raccolta è stata di 1 miliardo di dollari “kiwi”, pari a poco meno di 600 milioni di euro.

Il target iniziale era di appena 300 milioni di NDZ. Ma l’alta domanda ha consentito all’ente di attirare più del triplo della liquidità ipotizzata. L’87% degli ordini è arrivato dalla stessa Nuova Zelanda, solo l’8% dall’Europa e il 5% dall’Asia. A presentarsi sono stati più di 20 investitori istituzionali.

Le obbligazioni sicure della Banca Mondiale scadono in data 10 maggio 2028, per cui presentano una durata residua di 7 anni. E offrono cedola annuale dell’1,625%. Sono state collocate sul mercato a un prezzo di 99,625077 centesimi, che corrisponde a un rendimento alla scadenza dell’1,682% (ISIN: NZIBDDT018C3). Il taglio minimo acquistabile è di soli 1.000 NDZ, cioè di quasi 600 euro.

Obbligazioni sicure, ma non troppo

Dicevamo, si tratta di obbligazioni sicure. E questo per il semplice fatto che la Banca Mondiale è considerato un emittente solidissimo, tanto che gli viene assegnato il massimo rating da parte di tutte le agenzie internazionali (AAA/Aaa). In effetti, l’organismo nato nel 1944 a Bretton Woods raccoglie denaro per conto dei 189 stati che ne fanno parte. Il rischio d’insolvenza è fuori discussione. Ma allora, perché il bond a 7 anni rende così tanto? E’ chiaro che acquistandolo ci s’imbatte in un rischio di cambio.

Il dollaro neozelandese potrebbe deprezzarsi da qui alla scadenza o alla previa data di disinvestimento contro l’euro. A quel punto, ci ritroveremmo in possesso di obbligazioni sicure, ma dal capitale deprezzatosi.

Possiamo solo cercare di fare qualche previsione sull’evoluzione prossima del cross valutario. L’inflazione in Nuova Zelanda si attesta già all’1,5%, mentre i tassi d’interesse sono fermi allo 0,25%. In più, il paese è nei fatti “Covid free”. Dovremmo attenderci una ripresa dell’economia in corso e prima che questa attecchisca nell’Eurozona.

La Reserve Bank of New Zealand dovrebbe, quindi, anticipare l’avvio della stretta monetaria rispetto a gran parte del pianeta. E questo scenario appare di sostegno al dollaro neozelandese. Dunque, in previsioni ci sarebbero buone probabilità che il cambio remi a favore dell’obbligazionista nei prossimi mesi. Tuttavia, il rischio esiste e non è possibile prevederlo da qui ai prossimi 7 anni. Del resto, non esistono pasti gratis.

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