Petroleos Mexicanos, la compagnia petrolifera statale messicana meglio nota con l’abbreviazione di “Pemex”, ha emesso nuove obbligazioni a lungo termine, i cui proventi saranno impiegati per rimborsare anticipatamente i bond in scadenza tra il 2020 e il 2023. Il termine per il riacquisto è scaduto ieri e ha esitato offerte accettate dalla società per un controvalore nominale di poco inferiore ai 6 miliardi di dollari. Tanti saranno i titoli che verranno annullati, mentre il valore delle nuove emissioni ammonta a 7,5 miliardi, sempre di dollari USA, così ripartiti: obbligazioni gennaio 2027 e cedola 6,49% per 1,25 miliardi (ISIN: USP78625DW03); obbligazioni gennaio 2030 e cedola 6,84% per 3,25 miliardi (ISIN: USP78625DX85) e obbligazioni gennaio 2050 e cedola 7,69% per 3 miliardi (ISIN: USP78625DY68).

Perché Pemex fa paura non solo agli obbligazionisti, ma anche ai creditori del Messico

Con questa iniziativa, Pemex intende nei fatti ristrutturare il suo debito, allungandone le scadenze e alleggerendo quelle più imminenti. La compagnia risulta la più indebitata al mondo tra quelle petrolifere, con passività per 104 miliardi di dollari, in fortissima crescita dagli appena 36 del 2008. La situazione finanziaria è diventata così difficile, che nelle scorse settimane il governo del presidente Andrés Manuel Lopez Obrador ha annunciato lo stanziamento di aiuti per 5 miliardi di dollari, oltre che sgravi fiscali, al fine di evitare che anche Moody’s declassi i bond della compagnia, così come nei mesi scorsi aveva fatto Fitch. Il Messico teme un contagio negativo per il suo rating sovrano, attualmente valutato “investment grade” da tutte le agenzie, con Moody’s ad assegnare il giudizio migliore, pari ad “A3” e prospettive “negative”.

I rischi dell’investimento in Pemex

Pemex ha svariati problemi, tra cui inefficienza produttiva, con estrazioni inferiori rispetto all’obiettivo di 1,8 milioni di barili al giorno a cui punta il governo. Sui suoi conti, poi, pesano negativamente anche i numerosi e frequenti furti di greggio da parte delle organizzazioni criminali locali, dedite allo spaccio di droga (“narcos”).

Ad ogni modo, le scadenze lunghe di cui sopra appaiono allettanti, viste le alte cedole e le emissioni in dollari. Viene dribblato così il rischio di cambio, con il peso messicano ad avere perso contro l’euro più del 20% negli ultimi 5 anni, pur avendo guadagnato il 5% nel corso di questo 2019.

Tuttavia, resta il rischio di credito. Riuscirà Pemex a superare i suoi problemi finanziari o l’ennesimo salvataggio ad opera dello stato – e che il vice-ministro delle Finanze, Gabriel Yorio, promette essere l’ultimo – si rivelerà acqua fresca, come temono diversi analisti? Per il momento, il mercato sembra essersi parzialmente rasserenato, con i “credit default swaps” a 5 anni ad avere ripiegato dai 367 punti di fine agosto ai 290 della settimana scorsa. Ma nel 2018, la compagnia ha chiuso in rosso per 125,5 miliardi di pesos, circa 5,5 miliardi di euro. L’anno precedente, le perdite sfioravano i 300 miliardi.

Sull’appetibilità dei bond incide certamente l’andamento del petrolio sui mercati internazionali. Le prospettive a breve non appaiono incoraggianti, a causa di una domanda che non riesce a tenere il passo con l’aumento dell’offerta globale. E l’ultima cosa di cui avrebbe bisogno Pemex per migliorare i suoi conti sarebbe una riduzione delle quotazioni, che deprimendo i ricavi renderebbe ancora meno sostenibile il debito, pari a circa un quinto superiore al fatturato del 2018.

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