E anche le ultime obbligazioni di stato o ad esse assimilabili del Venezuela sono andate in default. Ieri, la scadenza da 913 milioni di dollari della compagnia petrolifera pubblica PDVSA (ISIN: USP7807HAV70) non è stata onorata. Il governo di Juan Guaido, riconosciuto dagli USA e un’altra sessantina di stati nel mondo, non ha provveduto al pagamento, diversamente da maggio, quando aveva sborsato 71 milioni di dollari per la sola cedola. Anzi, nei giorni scorsi l’Assemblea Nazionale ha dichiarato “illegittimo” il bond garantito dal 50,1% del capitale di Citgo, la raffineria controllata dalla compagnia e con sede nel Texas.

Secondo l’unico organismo realmente rappresentativo della volontà popolare, le garanzie furono concesse senza la previa autorizzazione parlamentare, come impone la Costituzione.

Per evitare l’escussione da parte dei creditori della maggioranza del capitale di Citgo e la conseguente perdita del controllo del prezioso asset, Guaido ha fatto pressing sul Tesoro americano e la Casa Bianca, riuscendo ad ottenere la sospensione temporanea di 90 giorni del “General License 5”, grazie alla quale gli obbligazionisti per i prossimi tre mesi non potranno rivalersi sulle azioni della raffineria.

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Baratto tra creditori e Trump?

Tuttavia, il governo americano è molto diviso al suo interno su un simile passo, che sancisce la violazione dei diritti di proprietà, per giunta ai danni di parecchi investitori americani. Lo stesso presidente Donald Trump ha annuito solamente per non creare problemi all’alleato di Caracas, unica sua speranza di abbattere il regime “chavista” di Nicolas Maduro. Un gruppo di creditori, ad esempio, che si è avvalso della consulenza di Clearly Gottlieb e Guggenheim Securities, si è mostrato disponibile a rinunciare al diritto di escussione, ossia alla garanzia, chiedendo in cambio la fine delle sanzioni per il trading delle obbligazioni sul mercato secondario.

L’America ha chiuso da tempo i rubinetti dei dollari al Venezuela, impedendo alle società e ai privati cittadini residenti negli USA di acquistare titoli del debito o azioni in dollari, così da impedire al regime di finanziarsi sui mercati.

Ma l’embargo colpisce anche gli scambi tra privati sui mercati regolamentati, scelta per molti incomprensibile, in quanto non ha niente a che vedere con i prestiti al governo di Maduro. A questo punto, due gli scenari più probabili: o i creditori con Guaido trovano un accordo autonomo per la ristrutturazione dei bond, con l’allungamento certo delle scadenze per gli evidenti problemi di liquidità in cui versa il Venezuela o il Tesoro USA potrebbe favorirlo, chiedendo ai primi di rinunciare alla garanzia con la giustificazione che essa violerebbe la Costituzione di Caracas e al contempo concedendo loro di negoziare i bond sul secondario, così da poter monetizzare almeno parte del capitale investito.

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