Rendimento e rischio vanno di pari passo. Chi più vuole, più deve esporsi. Lo sanno bene quanti cercano in questi mesi un minimo di “yield” e per questo sono costretti ad addossarsi maggiori rischi, scovando tra le obbligazioni “junk” o “spazzatura”, oppure spingendosi sui mercati emergenti. Non è detto che debba essere per forza così. Anche restando sui mercati avanzati si trovano rendimenti abbastanza interessanti ed emessi da società molto solide. In questo articolo, vi proponiamo le obbligazioni Microsoft, colosso informatico americano in mano a Bill Gates, uno degli uomini più ricchi del mondo da ormai svariati anni.

Microsoft: un rendimento del 3% per il bond in dollari a 10 anni

In particolare, vi diamo conto del trentennale emesso nel giugno scorso e con scadenza 1 giugno 2050. Esso offre cedola del 2,5250% (ISIN: US594918CC64), a dir poco bassa, considerando che giovedì scorso, il Tesoro italiano ha emesso una nuova tranche del BTp a 30 anni al rendimento dell’1,91%. E se i nostri titoli di stato rischiano il declassamento al livello “non investment grade”, il debito di Microsoft è giudicato “AAA/Aaa” da S&P e Moody’s e “Aa+” da Fitch. In pratica, l’emittente è considerato molto sicuro, godendo del giudizio rispettivamente più alto e secondo più alto tra le principali agenzie.

Il bond in questione si acquistava questo venerdì a 104,56, decisamente sopra la pari, ragione per cui il rendimento alla scadenza scende al 2,27%. Certo, va rimarcato come il titolo quotasse fino a 112 nel tardo luglio, appena tre settimane fa. Da allora, ha accusato un calo di circa il 6,6%. In effetti, trattandosi di una scadenza lunga ed essendo la cedola bassa, la “duration” è elevata, per cui il bond è esposto a una certa volatilità. Positivo, quando i rendimenti tendono a scendere, negativo quando riprendono a salire.

Fattore cambio determinante

Sarà, ma percepire il 2,27% lordo di questi tempi non è male, pari anche a +100 punti base sopra il Treasury di pari durata.

In teoria, l’investimento sarebbe capace di proteggere il potere di acquisto nel lungo periodo. C’è un problema: le obbligazioni sono denominate in dollari. Per questo, restano esposte al rischio di cambio. Se il dollaro si rafforza, per l’obbligazionista che le ha in portafoglio è un bene, in quanto il valore del titolo sale, una volta convertito in euro. Viceversa, nel caso in cui il cambio euro-dollaro sale, cioè il biglietto verde si deprezza contro la moneta unica.

Se pensate che a marzo un euro arrivò ad acquistare meno di 1,07 dollari e che adesso ne vale 1,18, avendo sfiorato 1,20 a inizio agosto, capite bene come le variazioni valutarie, anche repentine, possano impattare il rendimento effettivo del bond. Se avessimo acquistato il titolo sul mercato secondario poco più di due mesi fa, all’atto della sua quotazione, oggi avremmo riportato una perdita di oltre l’1%. Il prezzo è cresciuto del 2,7%, ma il dollaro si è indebolito nel frattempo del 4% contro l’euro. Nel lungo periodo, però, non siamo in grado di prevedere l’evoluzione del cambio. In teoria, alla scadenza potremmo ritrovarci in mano un titolo dal valore in euro superiore a quello investito, maturando un guadagno in conto capitale. Ma è evidente che il rischio di cambio resterà in agguato fino alla scadenza. Del resto, non esistono pasti gratis.

Perché i rendimenti americani e il cambio euro-dollaro sono legati

[email protected]