Pochi giorni fa, Intel, la società americana produttrice di semi-processori, micro-processori e dispositivi elettronici, ha emesso obbligazioni per 1 miliardo di dollari e scadenza 15 febbraio 2060 (ISIN: US458140BK55), offrendo una cedola fissa annuale del 3,10% e che verrà corrisposta con frequenza semestrale, a un prezzo di 99,34, per cui il rendimento lordo è risultato di poco superiore alla cedola. Venerdì scorso, il titolo quotava a 100,575, registrando un balzo dell’1,24%, mentre il rendimento è sceso in area 3,07%. Il taglio minimo acquistabile è di soli 2.000 dollari.

Qui, siamo di fronte a un investimento di lungo periodo (40 anni) e apparentemente remunerativo a sufficienza di questi tempi, se pensiamo che il BTp più lungo che sia stato mai emesso, quello in scadenza nel marzo 2067, renda ormai meno del 2%.

E per quanto il colosso americano sia una società privata, il suo rating risulta superiore a quello sovrano italiano: “A+” per S&P, “A1” per Moody’s e “A+” per Fitch. Conviene farci un pensierino?

Per prima cosa, vediamo qualche numero. Nel 2019, Intel ha chiuso il bilancio con ricavi per 72 miliardi di dollari e un utile netto di 21 miliardi. Nell’arco di un decennio, i primi risultano più che raddoppiati, sebbene nel frattempo sia esploso anche il rapporto tra indebitamento a lungo termine e patrimonio dal 4,9% al 32,65%. Il primo si è attestato a 25,3 miliardi a fine 2019. Numeri solidi, dunque, che lasciano intravedere una certa sicurezza per l’investimento.

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I rischi del bond Intel

Eppure, non è scevro da rischi. Anzitutto, di cambio. Se il dollaro alla scadenza o nel giorno della rivendita anticipata del bond risulterà deprezzato contro l’euro rispetto alla data di emissione, l’obbligazionista subirà una perdita in conto capitale. Certo, per un investitore cassettista, cioè che attende la scadenza del bond, non sarebbe facile capire come si muoverà il cambio euro-dollaro da qui a 40 anni.

Probabile che nei prossimi anni il dollaro si sgonfi contro l’euro e finanche di un buon 20% entro un decennio, mentre successivamente e in dipendenza dei diversi cicli economici tra le due sponde dell’Atlantico torni a rafforzarsi, e così via.

Poiché il raggio temporale è davvero lungo, il fattore cambio costituirebbe un rischio solamente per quanti fossero colpiti da problemi di liquidità e avessero necessità impellenti di disinvestire, non potendo attendere che i tassi di cambio tendano verso valori per sé favorevoli. Nel frattempo, però, le cedole staccate sarebbero sostanziose, attualmente su livelli nettamente superiori ai tassi d’inflazione vigenti in Italia. Infine, attenzione anche alla scarsa liquidità del bond. L’emissione di un solo miliardo non sarebbe sufficiente a garantire scambi adeguati sul mercato secondario, tant’è che venerdì scorso lo spread denaro-lettera si mostrava relativamente elevato, all’1,2%. E anche questo dato va tenuto in debita considerazione per il caso di disinvestimento anticipato.

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