Ieri, ENI ha completato l’emissione di obbligazioni sostenibili nell’ambito del suo programma Euro Medio Term Note. Il controvalore del nuovo debito collocato sul mercato è stato di 1 miliardo di euro, il doppio dei 500 milioni previsti. Ciò è stato possibile grazie all’alta domanda, pari a 3 miliardi, 6 volte l’offerta iniziale.

Le obbligazioni ENI hanno durata di 7 anni e sono state piazzate a un prezzo di re-offer di 99,855% e cedola 0,375%. Pertanto, offrono un rendimento alla scadenza di poco superiore al tasso d’interesse offerte, essendo state collocate appena sotto la pari.

Sono le prime del tipo “sustainability-linked” del Cane a sei zampe. Infatti, i capitali raccolti saranno impiegati perlopiù al raggiungimento di due obiettivi di natura ambientale.

Il primo (Scope 1) consiste nel raggiungere emissioni di CO2 per 7,4 milioni di tonnellate al massimo entro il 31 dicembre 2024, cioè il 50% in meno rispetto ai livelli del 2018. Il secondo (Scope 2) riguarda la capacità di produrre energia elettrica da fonti rinnovabili per almeno 5 GigaWatt entro il 31 dicembre 2025. Qualora anche solo uno dei due obiettivi non fosse centrato, le obbligazioni ENI riconosceranno all’investitore una maggiorazione della cedola dello 0,25%.

Obbligazioni ENI, i rischi

Queste obbligazioni ENI saranno quotate alla Borsa di Lussemburgo e sono risultate acquistate principalmente da investitori istituzionali di Francia, Germania, Regno Unito e Italia. Presentano un funzionamento classico dei bond ESG: fissazione di obiettivi di natura ambientale e previsione di un premio per l’obbligazionista nel caso in cui questi non fossero raggiunti. In sostanza, l’emittente definisce in anticipo l’eventuale penalità che pagherà per non essere stato capace di centrare i suoi stessi obiettivi.

Chiaramente, poiché gli obiettivi sono fissati dalla stessa società chiamata a perseguirli, dovremmo supporre che siano alla portata nei tempi previsti. Dunque, immaginiamo che le obbligazioni ENI staccheranno una cedola dello 0,375% fino alla scadenza. Del resto, non sarebbe solo e tanto la maggiorazione del tasso ad impattare negativamente sull’emittente, quanto il colpo che subirebbe la reputazione aziendale.

Non centrare obiettivi ambientali implicherebbe in futuro dovere probabilmente fare a meno degli investitori ESG circa le emissioni di nuove obbligazioni.

In questo campo, tuttavia, il rischio “greenwashing” resta sempre in agguato. Molte società semplicemente cercano di attirare capitali con la fissazione di traguardi apparentemente meritori. Ma alla fine, o si tratta di obiettivi solo sulla carta o che sarebbero raggiunti anche in assenza di precise azioni in tal senso. Per il resto, le obbligazioni ENI esibiscono rischi di credito medio-bassi. I rating sono A- per S&P e Fitch e Baa1 per Moody’s. L’emittente è controllato dallo stato con il 30,3% del capitale. Pertanto, possiamo parlare senza grossi problemi di debito semi-sovrano.

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