Nuovo decollo per i Pir, i Piani individuali di risparmio lanciati con la legge di Stabilità 2017 e arenatisi dallo scorso anno con le modifiche normative apportate dal governo “giallo-verde”? Parrebbe di sì, sempre che Camera e Senato recepiscano gli accorgimenti introdotti all’unanimità (e questo fa ben sperare) dalla Commissione Finanze di Montecitorio. Scompare il riferimento alla quota destinata ai venture capital e nel complesso vengono ammorbidite quelle rigidità che avevano indotto il mercato a prendersi una pausa per i nuovi investimenti, tant’è che nei primi 9 mesi di quest’anno si registrano deflussi per oltre 800 milioni, quando solamente nel primo anno e mezzo dall’introduzione, questi strumenti avevano attirato capitali per 17,4 miliardi di euro.

Investire in Pir, aspettando il decollo dei nuovi tra le rigidità normative

Facciamo un passo indietro e spieghiamo cosa sono i Pir, come erano stati modificati dal precedente esecutivo e come dovrebbero essere dal gennaio 2020. Essi sono contenitori giuridici, che beneficiano di agevolazioni fiscali per chi li acquista. Niente imposta del 26% sui capital gain e niente imposta di successione, ma nei limiti di 30.000 euro di investimenti a Pir e fino a un massimo di 150.000 euro nel complesso. In cambio, essi devono investire almeno il 70% delle risorse in strumenti emessi da soggetti con sede in Italia e per almeno il 30% (21% del patrimonio complessivo) in titoli diversi dall’Ftse Mib, l’indice principale di Piazza Affari.

In poche parole, i Pir sono nati con l’intento di agevolare l’afflusso dei capitali verso le società quotate di piccole dimensioni, così da favorire l’economia reale. Da quest’anno, i Nuovi Pir prevedono che almeno il 3,5% del patrimonio venga investito in titoli quotati nel segmento Aim, quello in cui si trovano le società fino a 250 dipendenti e con ricavi annui fino a 50 milioni di euro. Un altro 3,5% deve essere investito in società di venture capital.

Le nuove modifiche ai Nuovi Pir

Queste modifiche appaiono molto punitive per il settore, in quanto costringono gli investitori a impiegare una quota (solo apparentemente bassa) dei loro capitali in strumenti tipicamente illiquidi. I titoli delle società quotate nei segmenti diversi da quelli principali, infatti, sono poco negoziati e acquistarli e rivenderli diventa difficile. E così, si arriva alle modifiche di questi giorni, che dovrebbero far tornare l’appetito verso i Pir, pur rivisti dalla versione originaria. Come? Il 5% della quota del 30% sul 70% destinata all’economia reale deve essere impiegato a favore di strumenti emessi da società quotate in segmenti diversi dall’Ftse Mib e il MidCap o equivalenti su altri mercati regolamentati.

La fuga verso i bond, le incognite sui nuovi Pir e la bassa educazione finanziaria

A conti fatti, la nuova limitazione appare molto meno stringente di quella attualmente in vigore, in quanto obbliga gli investitori a destinare poco più dell’1% dei loro patrimoni ai segmenti dedicati alle piccole e alle micro-imprese, la cui capitalizzazione complessiva viene stimata in 28 miliardi. E ancora: fondi pensioni e casse previdenziali potranno investire in uno o più Pir, ma nel limite del 10% dei rispettivi patrimoni. Anche quest’ultimo paletto sembra giustificarsi con la necessità di evitare che pochi soggetti detengano quote eccessive di un mercato già di per sé poco liquido e di piccole dimensioni, così da consentirne l’accesso a un numero di risparmiatori individuali quanto più alto possibile. Del resto, era stato pensato per loro questo veicolo d’investimento.

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