Si chiamano “muni bond”, diminutivo di “municipal bond” e sono i titoli del debito emessi dagli stati e gli altri enti locali negli USA, compresi i distretti scolastici. Valgono un mercato da 3.800 miliardi di dollari, circa il doppio del pil italiano e qualcosa come quasi un quinto di quello a stelle e strisce. Eppure, non è stato ad oggi oggetto di grosse attenzioni da parte della finanza, la quale ha potuto attingere con molta maggiore facilità ai Treasuries, i titoli emessi dal Tesoro federale e che dispongono di un ben più grande mercato da 15.000 miliardi, il più vasto e liquido al mondo, tanto da esserne riferimento per la fissazione dei rendimenti.

Quest’anno, però, il successo dei “muni bond” doppia quello dei più noti T-bills, esitando un andamento positivo dell’1,8% contro meno dell’1%, il migliore dal 2014.

Mercato Treasury, opportunità di guadagno o il calo dei rendimenti è già finito?

Vediamo cosa starebbe succedendo e perché sinora non vi è stata la dovuta attenzione a questi titoli. Partiamo da una constatazione: il mercato dei bond municipali a stelle e strisce si mostra non solo molto meno grande di dimensioni, bensì pure di gran lunga meno liquido, in quanto frammentato. In effetti, a fronte dell’unico emittente federale per i Treasuries, qui abbiamo centinaia di debitori, ognuno facente mercato a sé, avendo scadenze e rating differenti dagli altri. Inoltre, passano di mano relativamente pochi titoli, rendendo difficile investire in questi strumenti.

Il successo inatteso dei muni bond

Quest’anno, la musica pare che stia iniziando a cambiare. I fondi hanno acquistato 12,6 miliardi, di cui ben 1,6 solamente nella settimana che si è conclusa il 13 marzo scorso. Come mai tanto interesse? La riforma fiscale ha limitato a 10.000 euro le deduzioni massime delle imposte locali, per cui i contribuenti con redditi più alti stanno cercando il modo per abbassare l’aliquota più alta, per quanto risulti scesa dal 39,6% al 37%.

E i muni bond sono titoli totalmente tax-free, cioè i rendimenti offerti non vengono sottoposti a tassazione.

Allo stesso tempo, così come per i Treasuries, si stanno avvantaggiando del mutamento di indirizzo della Federal Reserve, che in pochi mesi è passata dal paventare nuovi numerosi rialzi dei tassi a dirsi “paziente” sulla stretta monetaria in corso, lasciando intendere che potrebbe persino averla già cessata. E i rendimenti sovrani americani stanno scendendo, con il decennale a passare dal 3,25% di novembre al 2,60% attuale. Lo stesso accade per i bond emessi dalle municipalità, sebbene continuino ovviamente a rendere di più dei Treasuries di pari durata, anche se meno dei corporate, scontando un rischio di credito superiore ai primi e inferiore ai secondi. In effetti, se appare impensabile, nonostante il boom del debito nell’ultimo decennio, che Washington possa mai dichiarare default, la città di Detroit e Portorico in default ci sono andati, sebbene l’isola formalmente non faccia parte degli USA.

Cambio euro-dollaro, le previsione del mercato tramite Treasury e Bund

Come si investe nei muni bond? Principalmente, attraverso fondi appositi. Esistono ben 45 Etf loro dedicati. Come sappiamo, trattasi di fondi dalla gestione passiva, vale a dire che si pongono come obiettivo semplicemente di replicare l’andamento dell’indice sottostante, senza volerlo battere. Ovviamente, le differenze tra l’uno e l’altro Etf sta nella diversa composizione del paniere dei muni bond su cui si investe: investment grade, “high yield”, con scadenze brevi, lunghe, etc. Adesso, pur pagando commissioni ben più elevate, si può anche scegliere una gestione attiva con gli Etf – quasi una contraddizione in termini – che consiste nell’affidarsi a una gestione professionale, capace di adattarsi ai mutamenti della realtà sui mercati.

La strategia degli Etf

Complessivamente, gli Etf posseggono più di 33 miliardi investiti in questi titoli e la palma d’oro spetta all’iShare National Muni Bond ETF con 11,8 miliardi.

Al 19 marzo, quest’anno risulta aver guadagnato l’1,48%. Tra l’ottobre del 2008 e il novembre del 2012, lo stesso registrò una performance del +25%, beneficiando dell’azzeramento dei tassi e del “quantitative easing”. Da allora, tra alti e bassi, anche per effetto del “tapering” prima e dell’avvio della stretta dopo, i valori si sono ridotti fino a oltre il 10%, toccando un minimo nel settembre 2013, salvo risalire successivamente. L’Etf investe in 3.701 titoli con duration media di 5,67 anni e vita residua di 14,14 anni. La discrepanza tra i due valori suggerisce che le cedole sarebbero mediamente abbastanza generose. Che gli assets siano molto diversificati lo segnala anche il fatto che i primi 10 per valore in portafoglio pesano per appena il 2,85% del totale. Il podio spetta al BlackRock Liquidity Fund MiniCash Portfolio (0,74%), alle detenzioni di liquidità (0,50%) e al bond emesso dall’Università della California e con scadenza 15 maggio 2038 (0,22%).

Con i Treasury al 3% è ancora più importante saper gestire la duration 

A quali rischi specifici si va incontro con l’acquisto di mini bond? Senz’altro, a quello di cambio. I titoli sono denominati in dollari e se alla scadenza o alla data di disinvestimento anticipato l’euro si sarà rafforzato contro il biglietto verde, il capitale rimborsato risulterà valere di meno, una volta convertito nella moneta unica. Secondariamente, esiste un rischio di liquidità, come sopra accennato. Il mercato dei mini bond, non essendo molto vasto e giornalmente sufficientemente tradato, può riservare cattive sorprese nel caso in cui si volesse vendere subito. In assenza di acquirenti immediatamente disponibili, si sarebbe costretti ad abbassare anche di parecchio i prezzi. Infine, se l’investimento è avvenuto tramite un Etf, potremmo non essere in grado di sfruttare appieno i movimenti del mercato, trattandosi di una gestione passiva. Ad esempio, se abbiamo investito in muni bond con rating IG, ma sul mercato aumentasse la propensione al rischio e si apprezzassero di più gli HY, resteremmo imbrigliati nel primo investimento, a meno di non vendere e riacquistare autonomamente o sempre tramite un secondo Etf.

Comunque, fare da sé su questo mercato non è consigliabile. Le singole emissioni potrebbero rivelarsi rischiose, specie se riferite a enti con rating medio-basso. Contrariamente a quanto accade sul piano federale, i casi di default, per quanto rarissimi, esistono e risentono di andamenti avversi anche localizzati, che dall’altra parte del pianeta non saremmo forse nemmeno in grado di prevedere per tempo, con tutta la prudenza e l’analisi del caso. E quando le cose si mettono male, i più colpiti sono i detentori di assets illiquidi.

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