In un ambiente di bassi tassi, l’unico modo per sfuggire alle logiche dei rendimenti zero o negativi sui mercati obbligazionari consiste nell’assumersi qualche rischio in più. Quest’oggi, vi proponiamo un mercato poco noto, eppure molto promettente: il Kazakistan. Nato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, fino al 2019 è stato governato con il pugno di ferro dal presidente Nursultan Nazarbaev. Nell’ultimo decennio, in particolare, si è contraddistinto per una crescita del PIL con pochissimi precedenti nella storia mondiale per velocità.

In effetti, si è passati dai poco più dei 1.200 dollari pro-capite del 2000 ai 10.000 odierni. Il boom è stato sostenuto dallo sfruttamento dei giacimenti di petrolio. La materia prima incide per quasi i tre quarti delle esportazioni, il resto è dato dai metalli industriali e l’Italia è il primo partner commerciale del paese.

Bond emergenti favoriti dalla svolta Fed sull’inflazione

Il Kazakistan vanta un rating sovrano “investment grade”: BBB- per S&P, BBB per Fitch e Baa3 per Moody’s. Grosso modo, il suo debito è valutato dalle agenzie internazionali similmente a quello italiano. Prima della pandemia, incideva per poco più del 20% del PIL. A fine 2020, le riserve valutarie si sono attestate a 35,67 miliardi di dollari, un livello teoricamente capace di coprire 10 mesi di importazioni, un lasso di tempo molto rassicurante per gli standard globali.

Bond kazaki con rendimenti e rischi bassi

Certo, la dipendenza dal petrolio espone Nur-Sultan alle oscillazioni dei mercati internazionali. Infatti, il tenge, la valuta domestica, ha perso contro l’euro più della metà del suo valore dal giugno 2014, mese in cui le quotazioni iniziarono a ripiegare dagli oltre 100 dollari al barile a cui erano arrivate. Ma proprio la flessibilità del tasso di cambio ha garantito al paese di contenere i deficit di bilancio, sull’esempio di quanto fatto dalla Russia di Vladimir Putin. Nel 2019, il disavanzo fiscale era stato solamente dell’1,8% rispetto al PIL.

La crisi valutaria dilaga dall’Argentina alla Russia, passando per Turchia e Kazakistan

Il debito sovrano kazako si mostra relativamente sicuro per gli investitori stranieri, anche grazie all’autonomia che il paese è riuscito a garantirsi dall’influenza di Mosca e al contempo dalle mire espansionistiche cinesi. Il più grande territorio dell’Asia centrale, infatti, non disdegna alcuna provenienza per gli investimenti esteri, occidentali inclusi. I rendimenti offerti risentono inevitabilmente del basso rischio di credito. La scadenza in dollari 21 luglio 2025 e cedola 5,125% (ISIN: XS1263054519) offriva ieri lo 0,92%. Spostandoci sul lungo termine, troviamo il bond 14 ottobre 2044 e cedola 4,875% (ISIN: XS1120709826), il cui rendimento alla scadenza si aggirava al 2,65%.

Chiaramente, queste emissioni presentano un rischio di cambio che va considerato, ma che non risente dell’andamento dell’economia emergente in sé, bensì delle variazioni del biglietto verde contro la moneta unica nei prossimi anni. Per contro, con la ripresa dell’economia globale, tra aumento delle quotazioni del petrolio e quelle dei materiali ferrosi, la crescita del Kazakistan dovrebbe risentirne positivamente, un fatto che impatterebbe favorevolmente anche sulla valutazione del suo debito. I rendimenti proseguirebbero la discesa, mentre i prezzi salirebbero ancora, consentendoci anche di realizzare qualche discreta plusvalenza. Un buon modo per alzare la “yield” del portafoglio obbligazionario, pur senza necessariamente assumerci rischi indesiderati.

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