Il Ministro delle Finanze di Kiev ha cancellato l’asta da 1,75 miliardi di dollari a 12 anni, in programma per rimborsare i titoli di stato a 1 e 2 anni. La notizia è arrivata dopo che il governatore della Banca Nazionale dell’Ucraina, Yakiv Smolii, ha rassegnato le dimissioni in polemica con il presidente Volodymyr Zelenskiy, rivendicando come prioritario il mantenimento dell’indipendenza dell’istituto dal potere politico. Il cambio tra grivnia e dollaro si è indebolito dell’1,3%, attestandosi ai minimi dall’aprile scorso. E nel frattempo hanno ripiegato anche i prezzi dei bond in dollari, con la scadenza settembre 2026 e cedola 7,75% (ISIN: XS1303926528) a perdere circa lo 0,9%, offrendo un rendimento del 7,63%.

Male anche il bond novembre 2028 e cedola 9,75% (ISIN: XS1902171757), che perde oggi l’1,25% e si porta a un rendimento dell’8,61%. Il decennale in euro con cedola 4,375% (ISIN: XS2010033343), emesso all’inizio di quest’anno, arretra del 2% a soli 85 centesimi, pur in forte risalita dai 57 a cui risultava sprofondato a marzo. Adesso, offre il 7%. Come possiamo notare, i livelli di rendimento offerti sono molto elevati anche per un mercato emergente. Il fatto è che l’Ucraina flirta da anni con il default e lo ha sinora schivato solo grazie agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, dopo che la sua economia è stata devastata dall’occupazione russa della Crimea, regione smembrata dal resto dello stato.

Dalla fine del 2013, le tensioni geopolitiche hanno fatto collassare il cambio dei due terzi. Malissimo il mercato obbligazionario, con i titoli di stato in valuta locale a risultare oggi emessi solamente fino alla scadenza dei 3 anni e con rendimenti a doppia cifra. Il debito pubblico valeva nel 2019 poco più del 60% del pil, ma si consideri che risulta in gran parte denominato in valute stranieri forti, per cui i conti pubblici di Kiev rimangono esposti anche al cambio, la cui debolezza è conseguenza di partite correnti ormai divenute cronicamente negative, riflesso di scarsa competitività dell’economia e bassa attrazione dei capitali stranieri.

Il rischio default è così alto, che i cds costano più di 500 punti base, avendo sfiorato i 1.000 a marzo. E i rating sono molto bassi: “B” per S&P e Fitch, “B3” per Moody’s, che a giugno ha alzato il suo giudizio dal precedente “Caa1”.

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