Il sultanato dell’Oman ha raccolto 2 miliardi di dollari ieri con l’emissione di un bond suddiviso in due tranche, rispettivamente a 7 e 12 anni. Alla vigilia, aveva annunciato anche una tranche a 3 anni, poi ritirata. I rendimenti erano attesi nell’ordine del 4% per la scadenza triennale, di quasi il 7% per quella a 7 anni e in area 7,625% per quella a 12 anni. Alla fine, sono stati esitati rendimenti inferiori, anche grazie alle voci di un imminente bailout da parte degli alleati del Golfo Persico sul modello del Bahrein nel 2018.

E così, il titolo a 7 anni dovrebbe essere stato piazzato in area 6,675% e quello a 12 anni al 7,375%.

Le casse omanite sono rimaste a secco, tra emergenza Covid e crollo delle quotazioni petrolifere. Quest’anno, il deficit fiscale dovrebbe esplodere al 17% del PIL dal 7% del 2019. Il paese avrebbe bisogno, stando alle stime di Fitch, di un Brent sopra gli 80 dollari al barile per tenere i conti pubblici in pareggio, il doppio dei livelli attuali. Il sultano Haitham bin Tariq ha assunto il potere all’inizio dell’anno, succedendo a Qabus bin Said al Said, morto dopo 50 anni di regno. Si è trovato subito ad affrontare una situazione economica allarmante, aggravata dalla pandemia. Oltre al taglio dei ministeri e al “congelamento” degli stipendi pubblici, è stata decisa l’introduzione dell’IVA al 5% a partire dal prossimo mese di aprile. Il governo cerca di ridurre la dipendenza dal petrolio, sebbene la strada sia ancora lunga.

Il debito del sultano offre fino al 9% all’anno

In effetti, quello di ieri è stato un primo test sul mercato per esprimere un giudizio sulle prime riforme economiche del nuovo sultano. Hanno contribuito al buon risultato del collocamento anche le voci del salvataggio ad opera dei vicini, pur non atteso imminente. L’Oman svolge un ruolo di mediazione nel Medio Oriente, spesso anche tra Arabia Saudita e Iran.

Da un lato, questo rende necessaria la salvaguardia della sua stabilità economica e finanziaria per gli equilibri nell’area, dall’altro i sauditi hanno maggiori riserve nel soccorrere una capitale equidistante, a differenza di quanto avvenuto due anni fa con il Bahrein.

Rendimenti e rischi elevati

Le agenzie di rating valutano il debito sovrano omanita “spazzatura”: B+ per S&P, BB- per Fitch e Ba3 per Moody’s. Il rapporto debito/PIL è atteso da S&P in salita all’80% entro fine anno. Era al 60% nel 2019. Da considerare, poi, gli effetti d’impatto negativi sull’economia domestica delle misure di austerità, specie quelli derivanti dall’introduzione dell’IVA. Anzi, se la congiuntura internazionale dovesse aggravarsi, non possiamo escludere che il suo debutto venga rinviato o almeno “spalmato” nei mesi. Per contro, l’Oman ha dalla sua la possibilità di porre fine al “peg” con il dollaro per rimpinguare le riserve valutarie, nel caso in cui il soccorso del Golfo non arrivasse o tardasse.

Ieri, il bond in dollari con scadenza gennaio 2048 e cedola 6,75% (ISIN: XS1750114396) offriva un rendimento dell’8,50%. La scadenza agosto 2029 e cedola 6% (ISIN: XS1944412748) si aggirava in area 6,90%. Dai minimi toccati a marzo, segnano rispettivamente +46,5% e +38,5%. Ma i rendimenti restano elevati di questi tempi, un chiaro segnale dell’alto rischio sovrano percepito dal mercato e confermato con il collocamento di ieri.

La crisi del petrolio colpisce l’Oman, Fitch declassa ancora il debito del sultano

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