Lo spread BTp-Bund a 10 anni è volato ieri fino a 185 punti base, con i titoli di stato italiani che sono arrivati ad offrire l’1,21%. Da quando il secondo governo Conte, retto da Movimento 5 Stelle e Lega, si è insediato, mai era stato così alto. Addirittura, alla metà di febbraio, era sceso sotto i 130 bp, ai minimi dalla primavera di due anni fa. Qualcuno aveva scritto nei giorni scorsi in Italia del ritorno dei “Pigs”, acronimo con cui all’esplosione della crisi dei debiti sovrani si solevano indicare gli stati afflitti da gravi problemi fiscali, cioè Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

La seconda “i”, che si riferiva all’Irlanda, sparì poco dopo, a seguito dei miglioramenti quasi immediati segnalati dall’economia celtica.

Il vero spread tra Italia e Germania, ecco perché i mercati si fidano dei tedeschi

Il differenziale di rendimento a 10 anni con i Bonos di Madrid si è allargato di 20 bp in un mese, salendo a 90. Con la Germania, invece, ha segnato circa +45. Da questi numeri, emerge il dramma italiano, con BTp trattati sui mercati finanziari alla stregua dei bond “high yield” o “spazzatura” sovrani o corporate. I nostri titoli del debito vengono premiati nelle fasi in cui i capitali sono a caccia di rendimento per la carenza che si ha su tutti i mercati avanzati, ma sono oggetto di vendite al minimo affacciarsi di rischio globale. A differenza degli assets cosiddetti “core”, come i Bund o gli Oat francesi, non sono percepiti come porti sicuri. Anzi. E così, la curva delle scadenze italiana è diventata positiva dopo i 12 mesi, mentre in Spagna i rendimenti negativi rimangono fino ai 7 anni e in Portogallo fino ai 5 anni.

Conti pubblici italiani migliori delle attese

L’aspetto paradossale che emerge anche da questo ultimissimo trend è che l’esplosione dello spread nelle ultime sedute arriva contestualmente alla pubblicazione dei dati sui conti pubblici italiani nel 2019.

Vi ricordate le polemiche furenti sull’eccesso di deficit a cui il governo “giallo-verde” di Movimento 5 Stelle e Lega avrebbe ambito per onorare i rispettivi programmi elettorali? Ebbene, lo scorso anno si è chiuso con il più basso disavanzo dal 2007, pari all’1,6%, in calo dal 2,2% del 2018. Ben meno del 2% fissato come obiettivo e a sua volta rivisto dal 2,4% iniziale. Dunque, persino i “populisti” al governo hanno migliorato i conti pubblici, mentre altri continuano a non fare i compiti a casa.

Ci riferiamo alla Spagna di Pedro Sanchez, il cui governo ha appena annunciato misure a dir poco preoccupanti per la tenuta dei conti pubblici e dell’economia, come l’aumento del salario minimo del 6,5% per 2 milioni di lavoratori e progressivamente fino al 60% dello stipendio medio entro la fine della legislatura. Inoltre, si prevedono forti aumenti della spesa pubblica per adempiere all’accordo tra i socialisti e l’ultra-sinistra di Podemos, tra cui delle pensioni. La stessa Commissione europea ha espresso preoccupazione, anche perché Madrid è ben lontana dall’aver risanato i suoi conti pubblici, avendo tagliato il deficit sotto il 3% solo nel 2018. L’Italia lo aveva già fatto nel 2012.

Cosa vogliamo intendere con questo? Affermare che lo spread verso quota 200 stia sfiduciando il premier Giuseppe Conte sarebbe una mezza verità. La realtà è molto più dolorosa: è verso l’Italia nel suo complesso che da un decennio a questa parte viene mostrata scarsa fiducia sui mercati, perché il cambio quasi compulsivo di governo di anno in anno non contribuisce a sbrogliare il filo della matassa su crescita e debito. La Spagna, pur tra diverse criticità, cresce a ritmi nettamente superiori a quelli italiani, anzi di quelli medi europei nell’ultimo quinquennio, mentre la nostra economia nel migliore dei casi resta ferma. Ed ecco che dei Piigs iniziali sono rimaste le sole lettere “i” e “g”, quelle che fanno riferimento a Italia e Grecia.

E persino Atene può confidare a breve in una curva delle scadenze più sgonfia di quella dei BTp. Il Coronavirus è solo l’ultimo pretesto per alleggerire i portafogli dagli assets tricolori.

Fioccano le vendite sull’Italia

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