Quando sentiamo nominare le Isole Vergini ci corrono alla mente le immagini di un paradiso per i vacanzieri, ma forse in pochi sappiamo che trattasi di un territorio americano sull’orlo del default. Il solo debito pensionistico netto ammonta a 3,35 miliardi di dollari, qualcosa come circa l’85% del pil. Si calcola che entro il 2023 il fondo pubblico sarà privo di risorse per continuare ad operare. Il governatore Albert Bryan Jr ha così studiato l’emissione di un bond da 1,1 miliardi, che conterrà una clausola con cui si punterà a rassicurare gli investitori.

Anche nel caso di bancarotta, il debito verrà onorato. Come? Attingendo al gettito fiscale.

“Se avete un’idea migliore, proponetela. Se non ce l’avete, sostenete questa” è stata il suo commento, anche perché sulla tipologia di queste obbligazioni sono scoppiate numerose polemiche. La clausola non è un novità assoluta nel panorama obbligazionario americano. Anche Portorico e Chicago, due realtà finanziariamente sotto stress, hanno collocato sul mercato titoli del debito con rassicurazioni simili e frutto più che altro della disperazione.

A dire il vero, nel caso di Portorico ha funzionato. Il default c’è stato, ma i creditori hanno potuto ottenere il 93% del valore nominale dei bond, molto più di quanto generalmente avvenga nei casi di ristrutturazione. Il gettito fiscale ipotecato delle Isole Vergini sono i 250 milioni di dollari che ogni anno il governo americano accredita sul conto del territorio caraibico, in qualità di accise sul rum da questo esportato.

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Test per i “muni bond”

Il Senato locale ha approvato nei giorni scorsi l’emissione, a patto che la cedola non superi il 3,75%. E questo sarà un problema per lo stato, dato che il debito sovrano viene giudicato “junk” dalle principali agenzie di rating, alle quali non vengono più inviate informazioni sulle condizioni fiscali e finanziarie delle Isole Vergini dopo i declassamenti del 2017.

Tuttavia, l’agenzia Kroll ha assegnato all’emissione il rating BBB, il secondo gradino più basso dell’area “investment grade”, dato che essa risulta nei fatti garantita dalle entrate fiscali. Tra gli stessi legislatori serpeggia il dubbio sulla correttezza di un’operazione, che ipotecherà il gettito per i prossimi 10-15 anni.

Per le Isole Vergini, un’opportunità apparentemente irripetibile di approfittare del crollo dei rendimenti sovrani globali per rifinanziarsi a costi inferiori a quelli sin qui sostenuti. Il collocamento dovrebbe arrivare prima di una scadenza a inizio ottobre e sarebbe sufficiente a coprire tutti i pagamenti fino ai prossimi 3 anni. Ma sarà sufficiente un tasso d’interesse annuo del 3,75%? Se no, gli investitori pretenderanno di pagare prezzi sotto la pari per spuntare rendimenti maggiori ciò e fino a un certo punto sarà sostenibile per l’emittente. Se il prezzo preteso fosse nettamente inferiore a 100, si rischia il flop.

Dalla sua, però, le Isole Vergini hanno l’appetito del mercato per quella massa di 3.900 miliardi di dollari di obbligazioni cosiddette “municipali” americane, ossia emesse da stati, comuni e contee degli USA. Rendendo più dei Treasuries e offrendo anche soluzioni fiscali vantaggiose, stanno diventando sempre più popolari tra i portafogli. Sarà un test per verificare fino a dove potrà spingersi l’appetito.

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