Il 20 marzo, la Banca di Russia sarà chiamata a decidere se continuare a tagliare i tassi o lasciarli per il momento invariati, dopo che il tasso d’inflazione a gennaio è sceso a poco sopra la metà del target del 4%, al 2,4%. Il governatore Elvira Nabiullina potrebbe allentare ulteriormente la politica monetaria, prendendo al balzo anche la congiuntura internazionale sfavorevole, con il Coronavirus che sta intaccando seriamente la crescita economica del vicino cinese. Il rublo non ha risentito granché della pandemia, se non indirettamente, vale a dire tramite il ripiegamento delle quotazioni del petrolio, materia prima principale esportata dalla Russia.

Contro il dollaro, perde quest’anno il 2,5%, ma il mercato obbligazionario non invia segnali di cedimento. Anzi, il rendimento a 10 anni scende ai minimi storici, in area 6,05%, mentre quello a 2 anni si attesta al 5,50%, il livello più basso dal 2011. Ancora meglio va ai bond russi denominati in dollari USA. Il decennale (ISIN: XS0114288789 rende ormai solo poco più del 4,50% e sulla scadenza a 2 anni (ISIN: XS0767472458) nemmeno si arriva al 2%. Rispetto ai Treasuries di pari durata, gli spread si attestano rispettivamente a 295 e 55 punti base, mostrando una curva dei tassi russa sostanzialmente normalizzatasi.

A inizio mese, la Banca di Russia ha tagliato i tassi di altri 25 punti base, abbassandoli al 6%. Ma al prossimo board di marzo, avrebbe ancora modo di allentare la politica monetaria, dato che attualmente i tassi reali si aggirano in area 3,50%, molto elevati nel confronto internazionale. Gli stessi rendimenti sovrani si mostrano ancora più allettanti per gli investitori domestici, se considerati al netto dell’inflazione. E quelli esteri detenevano al 31 dicembre scorso il 32% dei titoli denominati in rubli, percentuale in netto rialzo dal 24,4% del gennaio 2019, pur inferiore al record del 34,5% segnato nell’aprile del 2018.

Banca di Russia taglia i tassi e i titoli in rubli hanno margini per continuare a salire

I rapporti con l’estero

Per valutare l’opportunità di investire sul mercato obbligazionario russo, bisogna non soltanto tenere conto delle variazioni attese sui tassi di cambio, a loro volta strettamente dipendenti dall’andamento del petrolio.

Le tensioni geopolitiche appaiono importanti. Mosca è sotto sanzioni di USA e UE dal 2014 sul caso Crimea. E proprio ieri è arrivata la notizia che Washington ha adottato sanzioni specifiche contro la compagnia petrolifera Rosneft, a seguito dei suoi legami commerciali con la venezuelana PDVSA, i quali nei fatti dribblano l’embargo americano contro Caracas. Le autorità USA avevano avvertito il governo russo con giorni di anticipo della loro decisione, una mossa che per gli osservatori avrebbe consentito a Mosca di proteggere gli assets della compagnia, segno che la Casa Bianca non abbia intenzioni fortemente punitive verso il colosso petrolifero.

Ragioni per guardare con ottimismo agli OFZ e ai titoli del debito in valute estere riguardano il basso grado di indebitamento dello stato (15% del pil), che al netto degli assets in dotazione dei fondi sovrani risulterebbe azzerato, nonché le elevate riserve valutarie, salite a gennaio a oltre 562 miliardi di dollari, superando sin dalla fine del 2018 il debito estero, pari a circa 482,4 miliardi alla metà dello scorso anno. In altre parole, la Russia è poco indebitata e vanta riserve in valute straniere capaci di più che azzerare tutto il debito lordo del paese contratto con l’estero. E la rapidità con cui esse crescono sbalordisce. Al terzo trimestre del 2015, si attestavano a poco più di 370 miliardi e si confrontavano con i quasi 540 miliardi di debito lordo con l’estero. Pur sotto sanzioni, in un quadriennio Mosca è riuscita a ribaltare la propria situazione finanziaria, anzi forse proprio l’embargo internazionale ha frenato l’indebitamento con l’estero, mentre la ripresa del petrolio ha consentito di accrescere le riserve.

La corsa all’oro di Putin ha triplicato le riserve in Russia in 10 anni

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