Dopo mesi di tensioni sui mercati, l’annuncio: Tewoo Group Corp. costringerà i suoi obbligazionisti in dollari a scegliere tra dure perdite o un non meno duro processo di ristrutturazione dei titoli del debito per 1,25 miliardi. La società, controllata dal governo locale di Tianjin, imporrà un taglio nominale dei bond fino al 64%, a cui i creditori potranno sfuggire solo accettando dilazione dei pagamenti e tagli sostanziosi alle cedole. A settembre, la società era finita nel mirino delle rivendicazioni di un creditore di una sua controllata e relativamente a un debito non onorato di 100 milioni di yuan.

Tewoo fa parte sin dal 2012 del Fortune 500. Società pubblica attiva nella commercializzazione di materie prime, deve la sua fortuna alla politica sin qui seguita da Pechino, che ha utilizzato queste imprese controllate dai governi locali per far fluire alle società considerate strategiche, come quelle dell’acciaio, fior di prestiti dalle banche. I problemi sono arrivati con il fallimento di Bohai Steel Group, società siderurgica, con cui Tewoo ha dovuto chiudere i rapporti.

Le obbligazioni della società sono valutate “spazzatura” da Fitch, ossia a “CCC+”. Le difficoltà erano diventate esplicite nei giorni scorsi, quando la banca ICBC, esposta per ben 20 miliardi di yuan (circa 2,5 miliardi di euro) verso Tewoo, aveva comunicato che avrebbe pagato per conto della cliente i 7,875 milioni necessari a onorare la scadenza dell’1 dicembre, quando dovrà essere corrisposta agli obbligazionisti la cedola sui bond da 500 milioni emessi nel 2017 e che dovranno essere rimborsati tra un anno. La lettera di accompagnamento denota solitamente un prestito di ultima istanza, anticipando una ristrutturazione del debito dell’assistito. E così è avvenuto con l’annuncio di venerdì.

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Bond cinesi a rischio con il rallentamento economico

Tewoo non possiede sufficienti assets per coprire i debiti, ma risulta altamente improbabile che le autorità finanziarie la facciano fallire, trattandosi di una società statale.

Il mercato ne dedurrebbe che a rischio vi sarebbe l’intera montagna di debiti accumulata dai governi locali cinesi e questo Pechino non può e non vuole permetterselo. Ad ogni modo, lo scossone c’è e segnala che i prestiti considerati pressappoco sicuri negli anni recenti non sarebbero affatto tali. Il rallentamento dell’economia cinese sta minacciando la tenuta di quelle società coinvolte dal boom immobiliare e attive nei comparti strategici come le materie prime, “gonfiati” da un eccesso di investimenti divenuto insostenibile e che si reggeva proprio sull’abbondanza dei crediti erogati dalle banche e i cui rischi sono finiti per ricadere sul mercato, attraverso le obbligazioni.

La crisi dell’acciaio è stata scatenata nell’ultimo quinquennio proprio dagli eccessi produttivi della Cina, che da sola rappresenta circa la metà dell’offerta mondiale e che inizialmente li aveva esportati all’estero, facendo collassare i prezzi e spingendo già l’amministrazione Obama ad innalzare i dazi sulle importazioni. Tewoo è solo l’apice di un icerberg, che affonda le sue radici in quella politica di sovra-investimenti pubblici, a cui Pechino non riesce a porre fine, se non in maniera molto graduale, a causa dei consumi interni insufficienti con cui rimpiazzarli e – con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – delle tensioni commerciali con gli USA (e non solo). Di default espliciti o mascherati da accordi dietro le quinte con i creditori ve ne sono già stati parecchi quest’anno e ve ne saranno sempre più in Cina.

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