Da quando la Fed ha annunciato di non ridurre, per il momento, il programma di stimolo monetario per sostenere la ripresa economica, molti emittenti sono corsi a emettere obbligazioni. La corsa è scattata soprattutto per quelle società altamente indebitate che solo in un contesto di tassi bassi o a zero possono permettersi di emettere nuova carta, seppur offrendo rendimenti elevati. Stesso discorso vale per i paesi emergenti che dalla debolezza intrinseca del dollaro possono rifinanziarsi più agevolmente sul mercato. Per gli esperti si tratta di un’ultima occasione, poiché il presidente della Fed Ben Bernanke ha lasciato intendere che dal prossimo anno i tassi cominceranno a rialzarsi, per cui per molti emittenti si tratta dell’ultima occasione per avere comodo accesso al mercato dei capitali in dollari.

Come per l’Armenia che ha recentemente stupito gli investitori professionali per il lancio di un bond da 700 milioni che ha fatto il tutto esaurito nel giro di poche ore.

 

Titoli di Stato in dollari Armenia tasso fisso 6% 2020, caratteristiche

 

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Il piccolo stato euroasiatico da 3 milioni di abitanti, ai confini della Turchia, ha appena emesso un’obbligazione governativa da 700 milioni in dollari a sette anni. Il titolo è stato venduto principalmente a investitori internazionali e fondi d’investimento che lo hanno sottoscritto per oltre tre volte l’offerta spuntando un rendimento del 6,35% al prezzo di 98,6%. Il Kardashian bond (Isin XS0974642273) è negoziabile per tagli minimi da 200.000 dollari e offre una cedola fissa del 6% pagabile su base semestrale il 30 marzo e il 30 settembre di ogni anno. Un rendimento che – secondo gli analisti – è ancora troppo penalizzante per l’Armenia se si considera che paesi non troppo lontani come Serbia e Georgia pagano 100-150 punti in meno e le loro finanze pubbliche sono meno forti di quella di Yerevan. Il rating è BB- per S&P e Ba2 per Moody’s.

Un’occasione per investire dunque? Sì, ma con le dovute precauzione – avverte Jim O’Neill conoscitore ed esperto di paesi dell’area caucasica – dato che l’Armenia è un paese altamente industrializzato, che gode di stabilità politica, ma ancora molto dipendente dalle importazioni perché la produzione locale non è in grado di soddisfare il fabbisogno del paese. Il settore industriale è quello che conta in assoluto più addetti al lavoro. Hanno una particolare importanza le industrie di genere alimentari, cartaria, meccanica, elettrica, tessile, chimica, della gomma, del cemento e del tabacco. Al di là degli aspetti congiunturali – prosegue O’Neill – va comunque rimarcato come la perdurante chiusura di due frontiere su quattro del Paese (con Turchia ed Azerbaigian), conseguenza dell’irrisolto conflitto per il Nagorno Karabakh, renda tuttora l’Armenia estremamente vulnerabile sul piano economico, soprattutto in termini di accesso ai mercati esteri. Anche in relazione al processo di “rapprochement” con Ankara, le speranze, in termini di sviluppo socio-economico, che ne avevano accompagnato l’avvio nel 2008 sembrano essersi ormai tramutate in disillusione.

 

Armenia, la tigre caucasica senza più artigli?

 

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Sette anni consecutivi di robusta crescita avevano spinto la Banca Mondiale a descrivere l’Armenia in termini di “tigre caucasica”. Tuttavia, principalmente a causa dell’estendersi al Paese della crisi economica mondiale, nel 2009 il PIL armeno aveva subito una significativa contrazione (-14,4%), risollevandosi già nel 2010 (+2,6%), ma soprattutto nel 2011 (+5,9%). In termini generali, se la prima, prolungata fase di crescita era stata trainata dal boom delle costruzioni e dalla produzione agricola, l’economia armena nell’ultimo biennio ha lentamente avviato un processo di diversificazione in termini di produzione del reddito nazionale, dovendosi imputare la sua ripresa primariamente al settore industriale (+14,1% l’anno passato), legato in particolare alle attività estrattive (oro, rame, zinco, ferro, argento e gas naturale). Sul piano “sociale”, le difficoltà economiche del 2009 hanno avuto serie ripercussioni negative anche nel contesto della lotta alla povertà nel Paese: mentre le precedenti performance di crescita avevano infatti ridotto il tasso di povertà dal 56,1% del 1998 al 26,5% di fine 2008, si ipotizza ora che la povertà affligga circa i 2/3 della popolazione.

[fumettoforumright]Perdura inoltre l’estrema diversità delle condizioni di vita tra la Capitale e le aree rurali del Paese. Secondo le statistiche ufficiali, a fine 2011 il tasso di disoccupazione è sceso al 6% (ma tale dato viene contestato da varie fonti) e, parimenti, anche il fenomeno inflattivo, particolarmente forte nel biennio 2009-2010, sarebbe rallentato, assestandosi sul 7,7%.