I rendimenti negativi sui titoli di stato in gran parte d’Europa stanno spiazzando un po’ tutti e genera preoccupazione. I tassi negativi sono un fenomeno che solo 10 anni fa era ritenuto inimmaginabile dai più esperti, eppure oggi sembra quasi la normalità in un contesto finanziario che è profondamente mutato, con le banche centrali che dirigono i flussi di capitale a comando e gli Stati europei alle prese con problemi di bassa crescita.

In un contesto simile, in cui si parla sempre più di recessione sia in Europa che negli USA, dove la curva dei rendimenti si è invertita (i treasuries a due anni rendono più di quelli a dieci), gli investitori non sanno più che pesci pigliare.

Per prestare denaro alla Germania per 10 anni, ad esempio, bisogna essere disposti a pagare 0,7%, se invece il denaro lo si presta alla Francia un po’ meno (-0,39%). Fra i paesi core europei resta l’Italia che paga oggi 1% lordo di interessi sui propri Btp a scadenza 2029, ma sul tratto breve della curva i rendimenti sono negativi anche a Roma. In ogni caso l’1% è sempre una percentuale molto bassa che non consente di stare al passo con l’inflazione percepita. Già perché comunque i prezzi dei beni di largo consumo non stanno scendendo, anzi tendono a salire per effetto della pressione fiscale.

Chi guadagna coi bond a tassi negativi

Per gli Stati che emettono debito pubblico, pagare bassi interessi o addirittura farsi pagare per sottoscrivere bond è un affare, non c’è dubbio. Ma questo sta cominciando a diventare un problema perché non tutti sono disposti a sottoscrivere titoli che rendono negativamente. Ciò lo si fa – spiegano gli esperti – solo perché l’azione della Bce è volta a far salire i prezzi e quindi a offrire guadagni a basso rischio agli speculatori, ma è del tutto evidente che gli investitori tendono sempre più a disertare le aste di Bund e Oat costringendo gli emittenti a finanziarsi sul lungo e lunghissimo termine per offrire qualche spunto di rendimento.

Come il caso dell’Austria che ha collocato in estate un bond a 100 anni e che la Svezia ha intenzione di replicare approfittando del momento positivo.

La paura della recessione

Ma cosa spinge un investitore a mettere in portafoglio obbligazioni a caro prezzo che rendono poco o nulla? Il motivo principale è la paura. Il timore che una recessione economica possa distruggere i risparmi di una vita o anche solo minacciare la stabilità finanziaria familiare. Così si è disposti a pagare qualcosa acquistando titoli di stato “sicuri” pur di non perdere. Senza considerare che così facendo si alimenta quel ciclo perverso che sta alimentando un bolla obbligazionaria di dimensioni gigantesche che prima o poi esploderà o quantomeno si sgonfierà perché il mercato è ampiamente drogato dalle politiche monetarie delle banche centrali e dagli Stati Uniti, il mercato che più ha guadagnato dopo la crisi del 2008, arrivano segnali preoccupanti per l’economia.

L’inversione della curva dei Trasuries

“L’inversione della curva dei tassi statunitensi è preoccupante – osserva Benjamin Melman, analista di Edmon de Rotchild – soprattutto se si osserva il segmento a breve termine, visto che avremmo dovuto assistere a una normalizzazione a seguito della riunione del FOMC (Federal Open Market Committee) che invece non si è verificata. Non è normale che i mercati anticipino un’ulteriore diminuzione dei tassi di 100 punti base nonostante le dichiarazioni sostanzialmente a favore dello status quo della Fed. Nel contesto attuale l’inversione della curva dei tassi è generalmente un affidabile indicatore avanzato che anticipa l’inversione della tendenza economica”.

I beni rifugio

Dove investire allora e come mettersi al riparo dalle turbolenze dei mercati? L’oro è in ultima istanza il bene rifugio per eccellenza, anche perché gli altri asset finanziari sono troppo a rischio, soprattutto negli USA dove Wall Street ha corso moltissimo e gli utili aziendali mostrano segnali di debolezza.

Il prezzo dell’oro è infatti salito molto di recente. Il mercato azionario o i mercati emergenti, almeno quelli considerati più virtuosi del sud-est asiatico, non sembrano fornire ampie garanzie di sicurezza, anche perché in un mondo completamente globalizzato, basta poco oggi perché un’economia crolli dalla sera alla mattina.