I titoli di stato italiani hanno corso parecchio negli ultimi mesi. Fino alla primavera scorsa, temevamo l’arrivo dell’autunno per l'”ingolfamento” del mercato dei BTp. Tra copiose scadenze da rinnovare e nuovo debito da collocare, il Tesoro sta avendo un bel da farsi nell’ultima parte dell’anno. Tuttavia, il sostegno della BCE ci consente di indebitarci a tassi bassissimi, per alcune scadenze ai minimi record. Un lettore ci chiede se abbia senso disinvestire dai BTp settembre 2046 con cedola 3,25% (ISIN: IT0005083057) per comprare i BTp marzo 2030 con cedola 3,50% (ISIN: IT0005024234).

La risposta è affermativa. Vi spieghiamo perché.

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Il BTp settembre 2046 si acquistava ieri a circa 135, per cui offriva un rendimento alla scadenza dell’1,42%. Il BTp marzo 2030 scambiava in area 125, rendendo lo 0,65%. Negli ultimi tre mesi soltanto, hanno guadagnato rispettivamente il 10% e quasi il 4%. Rispetto agli omologhi spagnoli, offrono ancora più di mezzo punto percentuale il primo e +0,40% il secondo. In teoria, con la riduzione del rischio sovrano percepito avrebbero ancora modo di apprezzarsi sul mercato.

Per contro, tendiamo a credere che i rendimenti lungo la curva, pur restando molto bassi, tenderanno a salire con l’allentamento delle tensioni finanziarie, man mano che l’economia globale mostrerà di riprendersi dal Covid. Quando accadrà, inevitabilmente l’obbligazionista subirà perdite. Quante? Dipende dove abbia investito. Nel caso del lettore, vendere BTp 2046 per comprare BTp 2030 avrebbe un significato ben preciso: accorciare la “duration”. Per essa, s’intende la durata finanziaria di un titolo. E’ di 8,08 anni per il BTp 2030 e di 18,3 anni per il BTp 2046.

Ridurre i rischi prima che sia tardi

Questo significa che se il rendimento salisse/scendesse dell’1%, il BTp 2030 si deprezzerebbe/apprezzerebbe di circa l’8% e il BTp 2046 si deprezzerebbe/apprezzerebbe di oltre il 18%. In altre parole, poiché il secondo ha scadenza più lunga e cedola un po’ più bassa, ci espone maggiormente al rischio tassi.

Vendendolo in tempo per impiegare la liquidità così liberata nel BTp 2030 ridurrebbe la “duration” generale del portafoglio, riducendo le perdite future. Per contro, se i BTp continuassero ad apprezzarsi, i guadagni sarebbero minori.

Saggezza vuole, però, che già iniziamo a mettere in conto di essere arrivati a fine corsa o quasi. Se aspettiamo che il mercato prima scricchioli per ridurre i rischi, potrebbe essere troppo tardi. Attenzione, stiamo ragionando nell’ottica di un investitore speculativo, cioè intento a rivendere i bond prima delle rispettive scadenze. Il “cassettista”, invece, non avrebbe di cosa preoccuparsi: che i prezzi crollino o s’impennino nei prossimi anni, non gli cambierebbe nulla.

Peraltro, lo “switch” tra le due scadenze aumenterebbe la cedola effettiva incassata nel corso dell’anno. Non sappiamo a quali prezzi il lettore abbia acquistato i due BTp. Rapportata ai prezzi odierni, la cedola effettiva del BTp 2046 sarebbe del 2,41% e quella del BTp 2030 del 2,79%. Infine, immaginando che dal disinvestimento del BTp 2046 verrà maturata una plusvalenza, il lettore otterrà liquidità aggiuntiva da impiegare per incrementare l’entità del portafoglio.

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