La Turchia sembra avere ritrovato la calma, dopo che nell’estate scorsa è stata oggetto, insieme all’Argentina, di una tempesta finanziaria scaturita dal crollo della sua lira, i cui tassi di cambio contro il dollaro sono arrivati a deprezzarsi del 45%. Da allora, contro l’euro ha messo a segno un guadagno di oltre il 20%, anche se su base annua l’esito resta negativo e pesante: -23%. Per cercare di arrestare la fuga dei capitali, la banca centrale ha alzato i tassi al 24% e il presidente Erdogan, che aveva minacciato fuoco e fiamme contro il governatore Murat Cetinkaya nel caso di una stretta monetaria, ha dovuto prendere atto della realtà.

I rendimenti sovrani si sono fortemente ridimensionati, con i bond a 2 anni ad offrire il 18,16% e quelli a 10 anni il 14,82%. Si consideri che tra l’estate e l’ottobre scorso, i primi erano arrivati all’apice del 25,65% e i secondi al 21%.

Lira turca in calo sull’impennata dell’inflazione, Erdogan dovrà accettare tassi ancora più alti

Tuttavia, la curva delle scadenze rimane invertita, segno che il mercato continui a scontare forti criticità. In effetti, più che un rischio default, stimato come probabile per non oltre il 5% sulla base dei prezzi dei “cds”, la principale preoccupazione degli investitori riguarda il destino della lira turca, in balia di fondamentali negativi per la sua stabilità. Le partite correnti stanno solo negli ultimi mesi chiudendo in attivo, ma la bilancia commerciale resta cronicamente passiva, segnalando che la forza del cambio sarebbe dipendente dai flussi di capitali, in sé legati al precario equilibrio raggiunto sulla politica economica tra banca centrale e sfera politica. L’inflazione resta sopra il 20%, pur in decelerazione dall’oltre il 25% toccato in ottobre, per cui i tassi stellari starebbero facendo effetto, anche se ai danni dell’economia, i cui tassi di crescita sono passati dall’1,7% congiunturale nel secondo trimestre al -1,1% del quarto nel 2018.

E sappiamo quanto Erdogan odi che il pil turco cresca poco, figuriamoci se dovesse continuare a contrarsi.

I rischi dal cambio per i bond in lire turche

Stando alle ultime stime della banca centrale, l’inflazione media nel 2019 dovrebbe attestarsi al 14,6% e alla fine dell’anno prossimo sarebbe dell’8,2%. Parliamo di livelli alti persino per il target dell’istituto, pari al 5% tendenziale. Questo significa anche che, se il governatore sarà lasciato libero di lavorare, i tassi resteranno elevati ancora per mesi, sebbene potrebbero essere tagliati man mano che l’inflazione arretrasse vistosamente sotto il 20%. Le attese sarebbero per un primo taglio entro la metà di quest’anno, dopo le elezioni amministrative turche. Cetinkaya ha il difficile compito di barcamenarsi tra un governo ostile alla politica degli alti tassi e un mercato pronto a punire la lira, se avvertisse un suo cedimento verso Erdogan sulla politica monetaria.

Tenendo conto di tutto ciò, avrebbe senso puntare i nostri soldi sui bond turchi? Cerchiamo di rispondere sulla base dell’andamento dei mercati negli anni passati. La lira turca ha perso contro l’euro il 23% nell’ultimo anno, il 37% negli ultimi 2, il 50% negli ultimi 5 e il 63,5% in un decennio. Nessuno ci dice che lo stesso trend si ripeta anche per il futuro, ma immaginando che fosse così, avremmo che il 18,8% offerto dal titolo a 1 anno di Ankara non compenserebbe il rischio di cambio, così come nemmeno il 18,16% del biennale. A conti fatti, quest’ultimo ci offrirebbe poco meno del deprezzamento accusato dal cambio nell’ultimo biennio. Se allunghiamo l’orizzonte temporale, invece, la musica inizia a cambiare. Il tratto a 5 anni rende complessivamente quasi l’80% cumulato alla scadenza, superiore al tasso di deprezzamento del cambio dal 2014 ad oggi. Un bond quinquennale ci frutterebbe, quindi, poco più del 5% medio lordo annuo.

Se puntassimo sul bond a 10 anni, a fronte di un rendimento cumulato lordo del 148%, rischieremmo di accusare un crollo del cambio per quasi i due terzi e al netto del quale otterremmo, comunque, un rendimento medio lordo annuo del 6,3%. Considerando che i nostri BTp, per quanto deprezzati siano sul mercato, non rendano sui 10 anni nemmeno il 3%, qui saremmo a oltre la metà del potenziale guadagno, anche se a fronte di una maggiore incertezza legata sostanzialmente al fattore cambio e alle tensioni geopolitiche. A questo punto, viene da chiedersi se non abbia più senso investire nei bond sovrani turchi, ma emessi in dollari ed euro. Facciamo un confronto. I decennali in dollari USA, cedola 7,625%, attualmente rendono in area 7,25%, mentre i quinquennali, sempre in dollari, cedola 7,25%, si aggirano intorno al 6,50%. I titoli a 2 anni, in dollari e cedola 5,625%, rendono il 5,45%. Passiamo a quelli in euro: il bond a 6 anni, scadenza marzo 2025, cedola 4,625%, offre più del 4,5%; quello a 7 anni, cedola 5,2%, intorno al 4,9%; il triennale poco meno del 3% e il biennale il 3,2%.

La Turchia rivede la luce dopo la tempesta finanziaria estiva

Quando i bond in lire turche convengono

L’alternativa per i titoli a medio-breve termine sarebbe, quindi, tra: bond a 2 anni in lire turche a oltre il 18%, in dollari USA al 5,45% e in euro al 3,2%. Sui primi, abbiamo detto quanto forte sia il rischio di ritrovarci intaccato persino il capitale nel caso di crollo del cambio così come negli ultimi anni. Anche i titoli in dollari, tuttavia, non varrebbero l’investimento, perché il plus di circa il 2,2% garantito oggi rispetto ai bond in euro verrebbe spazzato via da un cambio euro-dollaro alla scadenza in area 1,18, evento più che probabile. Sul tratto a medio-lungo termine: bond in lire turche con rendimento effettivo medio del 5%, ossia al netto del rischio cambio atteso; bond in dollari al 6,5% e in euro avremmo una scadenza a 6 anni al 4,5%. A conti fatti, stesso ragionamento per i titoli in dollari, ma con l’aggravante che nell’arco dei 5-6 anni sarebbe ancora più probabile una risalita del cambio euro-dollaro, tale da annullare il maggiore rendimento offerto.

Tuttavia, salvo sorprese negative, qua varrebbe la pena iniziare a drizzare le antenne proprio sui bond in valuta turca.

Infine, il tratto decennale: rendimento effettivo ipotizzabile di oltre il 6% per il bond in lire, del 7,25% per quello in dollari. Non avremmo un decennale in euro con cui confrontarci, ma a questo punto il paragone lo potremmo fare con un BTp a 10 anni, il cui rendimento annuo si aggira sul 2,7-2,8% nelle ultime sedute, circa il 4,5% in meno di uno turco in dollaro e il 3,2% in meno di uno in lire, quest’ultimo al netto del deprezzamento sopra stimato. Ipotizzando un cambio euro-dollaro tra 10 anni sopra 1,40, stando al monitoraggio dello spread Treasury-Bund, il rendimento annuo effettivo extra del bond in dollari si ridurrebbe a meno del 2%, per cui converrebbe azzardare anche in questo caso un investimento in lire turche. Chiaramente, l’analisi in sé è sbrigativa e nulla ci dice che la lira non possa indebolirsi più velocemente di quanto non abbia fatto nel recente passato contro l’euro, specie nel medio-breve termine, quando la BCE avvierà il rialzo dei tassi, in concomitanza probabile con una banca centrale ad Ankara nel bel mezzo di un allentamento monetario. Tuttavia, se l’inflazione turca dovesse portarsi a percentuali contenute e la politica sui tassi turca attirasse la fiducia dei mercati, sarebbe verosimile lo scenario opposto di un rafforzamento della lira, specie se nel frattempo saranno avvenuti quegli aggiustamenti macroeconomici dal lato delle partite correnti.

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