La Reserve Bank of India quest’anno ha tagliato i tassi d’interesse di 135 punti base o 1,35%, portandoli all’attuale 5,15%. Il mercato obbligazionario sovrano ne ha beneficiato, com’è avvenuto nel resto del mondo. I rendimenti a 2 anni sono scesi di circa 150 bp al 5,57% odierno, quelli a 10 anni di 95 bp al 6,50%. Bene, ma non benissimo, se si pensa che l’inflazione nel sub-continente asiatico quest’anno si sia mantenuta mediamente intorno al 3% e che, pertanto, i rendimenti reali indiani siano rimasti a circa il 2,5/3,5%, quando sui mercati avanzati sono scesi sottozero e spesso anche nominalmente.

Il mercato delle obbligazioni di stato in India vale sui 60.000 miliardi di rupie, pari a circa 750 miliardi di euro. Eppure, i capitali stranieri incidono per appena il 3,7% di esso, cioè per meno di 28 miliardi di euro. Non è disinteresse verso rendimenti appetibili, bensì il frutto delle limitazioni legali vigenti. Nuova Delhi impedisce la detenzione di oltre il 6% delle emissioni sovrane. Ciò rappresenta un grosso ostacolo per l’afflusso di capitali e per l’inserimento delle obbligazioni domestiche negli indici internazionali.

In queste settimane, si discute di un imminente inserimento dei titoli indiani nel JP Morgan EM Bond Index. Se ciò avvenisse, decine di miliardi di dollari affluirebbero nel paese e, contrariamente a quanto teme il governo, sosterrebbero una certa stabilizzazione dei prezzi, specie nelle fasi avverse. Non solo il grado di liquidità crescerebbe, dando una mano agli scambi, ma oltre tutto entrerebbero capitali diversi da quelli “hot”, tipicamente rapaci e legati alla ricerca immediata di rendimento e che alla prima occasione utile girano i tacchi per spostarsi altrove.

Bond India, Moody’s minaccia il rating e il mercato è nervoso

Bond India, quali prospettive?

Resta da chiedersi se l’investimento nelle obbligazioni dell’India oggi sia una buona occasione o nasconda insidie, quale che sarà la decisione di JP Morgan.

La curva delle scadenze si mostra piatta, per quanto meno di inizio anno. La distanza tra rendimenti a 10 e quelli a 2 anni è inferiore all’1%, segno che il mercato non crederebbe alla prosecuzione del ciclo monetario espansivo. In effetti, complice la crisi delle cipolle, l’inflazione in ottobre ha rialzato la testa, spingendosi al 4,6%, ai massimi da un anno e mezzo. Nel frattempo, è vero che l’economia rallenta e che la RBI potrebbe essere indotta per questo a tagliare ulteriormente i tassi, ma la politica fiscale anch’essa espansiva riduce i margini di miglioramento per il mercato sovrano, aumentando le emissioni, a partire da quelle delle società partecipate.

Resta il fatto che, anche volendo tenere conto della fiammata dei prezzi recente, i rendimenti a lungo termine si mostrino di quasi il 2% positivi in termini reali, cosa che non accade certo in Nord America, Europa, Giappone e Australia. Certo, qui dovremmo fare i conti con il rischio di cambio e sul punto dovremmo aprire una parentesi, perché la rupia indiana non è del tutto libera di muoversi sui mercati contro le valute straniere, anche perché Nuova Delhi teme che altrimenti si rafforzerebbe per via degli afflussi dei capitali, colpendo la competitività nazionale e le esportazioni. Se il governo del premier Narendra Modi si decidesse finalmente a rendere anche il cambio del tutto fluttuante, il mercato obbligazionario sovrano diverrebbe ancora più appetibile, perché a quel punto gli afflussi dei capitali rafforzerebbero la rupia e amplificherebbero i guadagni degli investitori stranieri.

L’India vuole lanciare i bond “elefante” da $500 miliardi, ecco cosa sono

[email protected]