I rendimenti a 10 e 2 anni sono scesi oggi al minimo storico rispettivamente dell’1,64% e dell’1,22% in Australia, poco prima che venissero diffusi i dati sull’occupazione in aprile. Il tasso di disoccupazione è salito leggermente al 5,2% dal 5,1% di marzo e a fronte di un aumento del numero degli occupati di 28.400 unità, i posti a tempo pieno sono diminuiti di 6.300, ponendo dubbi sulla qualità della recente creazione di lavoro. Il mercato sta scontando con probabilità del 40% che la Reserve Bank of Australia (RBA) tagli i tassi di 25 punti base a giugno, dal minimo storico dell’1,50% a cui furono abbassati nel settembre 2016.

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L’economia australiana è in crescita da ben 28 anni consecutivi, segnando un record mondiale e strappandolo da qualche anno all’Olanda. Questa espansione ininterrotta ha sostenuto anche il mercato obbligazionario, che si presenta molto allettante agli occhi degli investitori stranieri. Perché? Se ormai il 57,5% dei corporate bond emessi negli USA ha rating “BBB”, in Australia questo segmento incide per appena il 23,9%, meno di un quarto del totale. E ben il 76% degli emittenti australiani vanta un rating pari o superiore ad “A-“, il migliore segmento per affidabilità creditizia. I bond “junk” o “spazzatura” sono praticamente come l’ago in un pagliaio in questo immenso paese dalle dimensioni di un continente.

In pratica, il mercato obbligazionario corporate vale in Australia sui 190 miliardi di dollari USA, nulla rispetto ai 6.580 miliardi di quello americano al 31 marzo scorso. Pertanto, il segmento “BBB” vale in America quasi 3.800 miliardi, in Australia appena 45,5 miliardi. Poco liquido, direte. Ed è vero, con questi numeri non vi è dubbio che sia così. Ma si mostra molto meno volatile di quello a stelle e strisce, per due ragioni essenziali: gli investitori che acquistano bond australiani perseguono tipicamente una strategia da cassettisti, cioè del “buy and hold”; quand’anche volessero rivendere prima della scadenza, il mercato non trova difficoltà ad assorbire quantitativi di qualche milione di dollari ai prezzi dati, mentre quando si prova in America a cedere grossi pacchetti, non sempre risulta possibile disfarsene ai valori richiesti.

Il boom dei corporate bond australiani

E chi ha voluto scommettervi in passato, si ritrova oggi con grosse soddisfazioni. Il segmento “BBB” ha reso mediamente il 100% negli ultimi 10 anni, quello “AAA” il 44%. E nel frattempo, l’euro contro il dollaro “aussie” ha perso circa il 7%, aumentando i guadagni esitati dal disinvestimento teorico a una media annua del 7,5% nel caso dei “BBB”. Certo, le prospettive di questo segmento dipendono essenzialmente da quelle macroeconomiche. L’Australia sta rallentando il suo tasso di crescita, sceso negli ultimi due trimestri del 2018 allo 0,2% congiunturale dal +1,1% e +0,8% dei primi due. E’ inevitabile che fosse così dopo un ciclo espansivo così lungo, praticamente che abbraccia già un’intera generazione.

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Non è detto, però, che vi sia una recessione in vista, né che questa porti a un “sell-off” ai danni dei corporate bond, nemmeno dei “BBB”, le cui emissioni non stanno affatto accelerando, segnando solamente il +6% nell’ultimo quadriennio contro il +42% negli USA. E la relativa bassa offerta attesa anche per i prossimi anni non farebbe che preludere a quotazioni stabili, specie se la domanda in futuro dovesse mostrarsi alla ricerca di rendimento. Questo, grazie proprio all’alta qualità media degli emittenti e al possibile intervento della RBA già dal prossimo board.

Tassi più bassi equivarrebbero a prezzi più alti, anche se l’impatto sul cambio sarebbe negativo. Quest’anno ha perso già più dell’1% contro l’euro e le tensioni commerciali tra USA e Cina, nonché il rallentamento economico di quest’ultima non aiutano, visto che buona parte delle esportazioni australiane si ha proprio verso di essa.

Ma se l’Australia cresce meno velocemente e taglia i tassi, l’Eurozona rallenta anch’essa e tiene i tassi azzerati, per cui nulla è scontato sul fronte forex. E se la “guerra” dei dazi trovasse un esito positivo quanto prima e la Cina riuscisse a tenere il passo della crescita, l’outlook migliorerebbe sia per il quadro macro che per il mercato obbligazionario australiani.

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