“Siamo sull’orlo del precipizio”. E a dirlo non è qualche profeta di sventura in cerca di attenzioni in pieno Covid, bensì un gruppo di massimi esperti dell’economia e della finanza mondiale, chiamato G30 e che annovera personalità del calibro di Mario Draghi e Raghuram Rajan, rispettivamente governatore centrale della BCE e della Reserve Bank of India. Economisti di assoluto rispetto, soliti a calibrare l’uso delle parole e a non esternare mai con eccessi nell’uno o nell’altro senso.

Eppure, il gruppo è molto preoccupato del fatto che le banche centrali abbiano iniettato così tanta liquidità sui mercati, che presto ci ritroveremo con una “crisi di solvibilità”.

Secondo il G30, servono “scelte dure e difficili” per evitare di cadere nel precipizio a cui ci saremmo avvicinati ormai a pochi centimetri. La liquidità pompata per combattere la pandemia equivale a debiti contratti dal sistema corporate, con la conseguenza che staremmo tenendo in vita molte realtà “zombie”, cioè società che non avrebbero più la forza di camminare sulle loro gambe dopo la crisi. Per questo, spiega il rapporto esitato dal gruppo, bisogna cambiare approccio, passando da interventi generali a interventi selettivi. Dovranno essere sostenuti principalmente le realtà sane, quelle che segnalano di poter ripagare i debiti e di continuare ad operare sul mercato in futuro.

Non solo sostegno alle grandi realtà, però, che posseggono semmai una maggiore capacità di farsi sentire dai governi. Attenzione massima alle piccole e medie imprese, spesso ignorate per la scarsa pressione che riuscirebbero a fare sul policy maker, ma importanti per il tessuto produttivo e occupazionale. Inoltre, spiega sempre il rapporto, serve incentivare la digitalizzazione e la svolta “green” delle imprese, ma evitando di porre eccessivi vincoli. Infine, si fa leva sulla necessità di nuove regole per evitare le liquidazioni aziendali, prendendo spunto dal “Chapter 11” negli USA, la disciplina che consente di tenere in vita le imprese, minimizzando i casi di fallimento.

Regole più morbide, quindi, ma anche minori ricorsi ai prestiti e maggiore attenzione al capitale finanziario, passando per le obbligazioni convertibili, strumenti mezzanine, etc.

Perché abbiamo bisogno di oro contro la pazzia di governi e banche centrali

L’impatto sui bond

Questo pamphlet, ove trovasse applicazione, avrebbe conseguenze dirompenti sul mercato obbligazionario. Negli ultimi tempi, già prima del Covid, la caccia al rendimento tra gli investitori ha spinto in misura crescente ad assumersi rischi sempre più alti, spostandosi sui comparti “high yield” e sui mercati emergenti. Il rapporto spiega a chiare lettere che questo processo non sarebbe più sostenibile. Stiamo incentivando i debiti di emittenti tendenzialmente non solvibili. Il sostegno nei loro confronti dovrebbe cessare, cosa che si tradurrebbe in un aumento dei casi di default, ovvero di perdite a carico degli obbligazionisti. Secondariamente, in futuro le banche centrali potrebbero essere indotte a sostenere perlopiù strumenti come le obbligazioni subordinate e quelle convertibili, così da rendere più efficiente la composizione del capitale. E non meno importante, starebbe crescendo la pressione sui governi per rendere sempre meno complicati i processi di ristrutturazione dei debiti societari, ma in realtà anche sovrani (vedasi la riforma del MES e gli auspici del Fondo Monetario Internazionale). Quanto ai green bond e gli ESG in generale, per sostenerne la crescita ne verrebbero affievoliti i criteri, con buona pace dei puristi della sostenibilità.

Questa potrebbe essere la fine di una lunga fase, grosso modo iniziata con la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09, durante la quale ci eravamo un po’ tutti convinti che nessuno sarebbe stato lasciato fallire, che le banche centrali avrebbero tenuto in vita tutto e tutti e che, quindi, i rischi segnalati dai rating e dai ratios patrimoniali fossero solo teorici, per cui tanto vale approfittarne e inserire in portafoglio assets più redditizi e non per questo realmente tossici.

Draghi e i suoi colleghi ci stanno dicendo che non è così, non sarà così, che dobbiamo prepararci a un riassetto finanziario, che necessariamente passerà per molte perdite e il ribaltamento di usi e convinzioni consolidati. Se non sarà un bagno di sangue, forse poco ci mancherà.

Il problema con i bond è che non si capisce più quando sono rischiosi

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