Passare da un rendimento del 7,5% al 20% in appena due mesi e mezzo non è cosa di tutti i giorni ed è successo al bond WeWork con scadenza 2025 e cedola 7,875% (ISIN: USU96217AA99). A inizio settembre era arrivato a quotare 103, cioè sopra la parità, rendendo meno della cedola. Adesso, il titolo è sprofondato a 69 centesimi di dollaro, per cui il mercato starebbe scontando il rischio di una ristrutturazione, cioè del non più inverosimile taglio del valore nominale dell’obbligazione, pari a 702 milioni di dollari USA.

Disastro IPO WeWork e il bond 2025 precipita, rating spazzato via

Del resto, la società di coworking era stimata sui 47 miliardi nell’estate scorsa, mentre adesso si attesterebbe sui 9 miliardi, oltre l’80% in meno. Nel frattempo, è successo qualcosa di molto brutto alla società che gestisce spazi di lavoro condivisi. Nel mese di ottobre, avrebbe dovuto sbarcare a Wall Street con una IPO, che non si è tenuta per assenza di domanda. Gli investitori si sono tenuti alla larga dall’affare, sfiduciati dal suo ceo Adam Neumann, tra l’altro anche fondatore di WeWork, costretto al passo indietro.

Le agenzie di rating non hanno perso tempo e hanno declassato il debito societario a un livello ancora più “junk”, con S&P a valutarlo “B-” e Fitch “CCC+”. Qualche giorno fa, un altro colpo di grazia: i conti hanno chiuso il terzo trimestre con una perdita di 1,3 miliardi, quasi tre volte i 500 milioni “bruciati” nello stesso periodo del 2018. E nello stesso frangente, ha espanso di 115.000 unità i posti messi a disposizione per i clienti, con la conseguenza che il loro tasso di occupazione risulta sceso dall’87% al 79%, ma in Cina si arriva a punte comprese tra i due terzi e oltre i tre quarti.

Bond WeWork davvero rischioso?

Il piano di ristrutturazione messo in campo dalla società include 2.400 licenziamenti su 12.500 dipendenti sparsi in tutto il mondo, pari al 17% della forza lavoro.

Senza il sostegno di Softbank da 9,5 miliardi, già in questi giorni WeWork sarebbe rimasta senza liquidità, il cui ammontare al 30 settembre scorso risultava ridotto a soli 1,2 miliardi. Non è difficile capire, quindi, perché il bond WeWork 2025 abbia perso esattamente un terzo del suo valore in appena due mesi e mezzo. Anche perché con il piano di salvataggio potrebbe essere emesso un altro bond, ma stavolta con cedola al 15% tra pagamenti cash certi (5%) ed emissioni di nuove obbligazioni (10%) nel caso di difficoltà a onorare le scadenze. Trattasi delle cosiddette obbligazioni “Payment-in-kind”, segno tangibile della disperata ricerca di capitali di cui la società ha bisogno per non soccombere.

Bond WeWork con cedola al 15% e pagamenti misti, ecco l’affare rischioso dopo la fallita IPO

Certo, a questi prezzi il bond inizia a fare gola. Quand’anche gli obbligazionisti accusassero, ad esempio, la decurtazione di un terzo del valore, la cedola si mostrerebbe ugualmente sufficiente di questi tempi per una “high yield”, ammesso che anch’essa non fosse toccata da un’eventuale ristrutturazione. Tuttavia, proprio la scarsa entità del debito obbligazionario non deporrebbe in favore di un passo così drastico nelle relazioni con gli investitori. A fronte di qualche centinaio di milioni di dollari risparmiato, la nomea di WeWork andrebbe a farsi friggere per un lungo periodo. E non ne varrebbe la pena per pochi spiccioli. L’unico serio rischio che gli obbligazionisti corrono sarebbe la chiusura dell’attività, specie considerando che essa non sia stata ancora testata in tempi di recessione economica.

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