A leggere il Rendistato della Banca d’Italia si scopre che nel mese di ottobre i rendimenti italiani sono saliti al massimo sin dal novembre del 2012. I titoli di stato hanno offerto la media ponderata del 3,83% sul mercato secondario. Alla fine dello scorso anno, offrivano ancora lo 0,55%. Questo significa che nel giro di appena 10 mesi, il costo del debito pubblico è salito del 3,28%. Se consideriamo che in circolazione vi sono bond sovrani per 2.300 miliardi di euro, otteniamo che l’aumento della spesa per interessi in previsione sarà di 75 miliardi di euro.

Pur al netto della tassazione, siamo sui 66 miliardi di euro. Una cifra che inciderebbe per il 3,5% del PIL nominale atteso per quest’anno.

Poiché il debito pubblico italiano ha una durata media di poco superiore ai 7 anni, ne consegue che l’aggravio annuale per i conti dello stato sfiorerà i 10 miliardi. Il conto finale effettivo potrà risultare, però, superiore o inferiore. Tutto dipende da come si evolveranno i rendimenti italiani nei prossimi mesi e anni. Se restassero ai livelli attuali fino alla fine del decennio, il calcolo di cui sopra si rivelerebbe, ahi noi, esatto. E al netto delle ulteriori emissioni di debito, sulle quali ci saranno da pagare altri interessi.

Viceversa, un ripiegamento dei rendimenti italiani ridurrebbe la spesa. Dovremmo sperare che questi abbiano già raggiunto il picco. In effetti, a ottobre il BTp a 10 anni si era avvicinato moltissimo alla soglia del 5%, mentre dopo il board BCE di settimana scorsa era sceso al 4%. Ieri, risaliva in area 4,35% sulle dichiarazioni da “falco” del governatore Christine Lagarde, intenta ad alzare i tassi d’interesse, anche nel caso di una recessione economica.

Rendimenti italiani appesi a Mosca e Washington

In generale, ogni notizia che darà l’impressione di uno sgonfiamento possibile dell’inflazione nel breve periodo deporrà a favore dei bond.

Anche i rendimenti italiani scenderebbero sulle attese di un minore rialzo dei tassi BCE. Al contrario, ogni notizia che desse l’idea che l’inflazione resterà alta a lungo, deprimerà i titoli di stato e manderà in orbita i rendimenti. Questo significa che l’evoluzione dei prezzi di materie prime come gas e petrolio e di situazioni geopolitiche come la guerra tra Russia e Ucraina si riveleranno determinanti.

A giorni, poi, si terranno le elezioni di metà mandato negli USA. I repubblicani dovrebbero conquistare almeno la Camera dei Rappresentanti. L’agenda Biden ne uscirebbe colpita. Per i rendimenti italiani potrebbe essere una buona notizia, in quanto un Congresso paralizzato o del tutto in mano alla destra renderebbe la vita difficile alla Casa Bianca anche su un dossier come l’Ucraina. Il sostegno americano a Kiev verrebbe in parte meno, un fatto che spingerebbe la stessa amministrazione Biden verso una soluzione diplomatica alla crisi.

Per non parlare del fatto che la destra americana è favorevolissima al potenziamento delle estrazioni di idrocarburi per abbassare i prezzi dell’energia. Una maggiore offerta di petrolio, in particolare, mitigherebbe l’inflazione nell’Area Euro. Il resto lo farebbe l’eventuale discesa dei prezzi dei TTF sulla borsa olandese, sempre che le tensioni tra Occidente e Russia almeno si allentassero rispetto ai livelli altissimi di questi mesi. Insomma, i rendimenti italiani restano in balia di eventi non controllabili in grossa parte dal nostro governo.

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