L’Australia a giugno ha aperto le danze delle banche centrali, tagliando i tassi di 25 punti base al minimo storico e replicando la mossa il mese dopo, portando il costo del denaro all’1%. La sua economia non conosce recessione dal 1991, ma sta rallentando e ciò ha spinto la Reserve Bank a reagire. Per i fondi pensione, un grosso problema. In tutto, dispongono di assets per 2.900 miliardi di dollari australiani, pari a 1.800 miliardi di euro, i terzi più elevati al mondo.

Ma il mercato azionario domestico è solo decimo al mondo con una capitalizzazione sui 1.000 miliardi, per cui i lavoratori australiani posseggono investimenti pari al doppio le dimensioni della borsa di Sydney.

Ciò sta rendendo difficile la vita ai gestori dei fondi, che si ritrovano a restare liquidi per il 15% degli assets. Adesso, qualcosa come 245 miliardi (152 miliardi di euro) sarebbero pronti ad essere investiti all’estero per ottenere quel rendimento minimo, che altrimenti in patria non verrebbe centrato. Quattro dei cinque fondi maggiori hanno come target un rendimento del 3% superiore all’inflazione, ma si pensi che il decennale sovrano oggi offre poco più dell’1%, quando un anno fa si attestava al 2,5%. Nemmeno investendo sui trentennali si ricava granché, qualcosa meno dell’1,70%.

L’Australia apre le danze sul taglio dei tassi, seguiranno America ed Europa

Rendimenti BTp appetibili

Per questo si guarda all’estero, dove i rendimenti sono certamente ancora più bassi, ma si confida nel cambio, tant’è che la quota coperta dal relativo rischio è scesa al 29%. E quale migliore occasione di questa per puntare sul mercato obbligazionario europeo? Se è vero che la BCE s’imbarcherà su nuovi stimoli monetari, è indubbio che abbia grosso modo dato, mentre la Reserve Bank of Australia ha ancora a disposizione strumenti ben più aggressivi per allentare la sua politica monetaria, tra cui taglio dei tassi ed eventuali acquisti di assets.

Dunque, il dollaro australiano, che contro l’euro ha perso un ottavo del suo valore nell’ultimo quinquennio, mostra margini di ulteriore indebolimento, specie quando nei prossimi anni i tassi nell’Eurozona saliranno.

I BTp per i pensionati australiani diventano così ancora più allettanti. I rendimenti italiani restano i secondi più alti nell’area dopo la Grecia, a fronte di rischi di insolvenza onestamente assai bassi. E’ vero, un decennale offre oggi meno di un bond australiano, ma se l’euro si apprezzasse da qui alla scadenza, i fondi ricaverebbero valore in favore degli iscritti. Vero, i Bund e i titoli del debito nel resto dell’area si mostrano più sicuri, ma al contempo offrono rendimenti perlopiù negativi e tali da deprimere i guadagni anche dopo un eventuale rafforzamento dell’euro.

Ovviamente, l’obbligazionario non costituirebbe l’unico comparto su cui i 150 miliardi di euro sopra citati si riverserebbero, né la destinazione sarebbe l’Eurozona. Ad ogni modo, specie con il tracollo del rischio Paese percepito (vedasi i “cds”), i BTp sarebbero anche in questo caso tra i principali assets su cui puntare per la fame di rendimento. Certo, dopo il rally estivo si mostrano meno appetibili, anche se a fronte di un clima più disteso. Resta il fatto che un nostro trentennale continui a offrire oltre il 2%, quando in Germania sta sottozero e persino negli USA rende meno.

Il mercato corporate australiano è interessante e rende la media del 7,5% dal 2009

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