A che punto siamo con i BTp Italia? Non giungono per il momento novità dal Tesoro con riferimento a possibili nuove emissioni per il 2019. L’ultimo collocamento risale al novembre scorso, nel bel mezzo delle tensioni tra Roma e Bruxelles sul deficit fissato dal governo Conte per quest’anno, rivisto successivamente dal 2,4% al 2%. Fu un flop pauroso, con ordini dal solo canale retail per appena 863 milioni, pur a fronte di una cedola minima garantita dell’1,45%. Sappiamo che questo bond si adatta benissimo alle esigenze delle famiglie risparmiatrici, in quanto consta in emissioni non lunghe (massimo 8 anni) e che proteggono dall’inflazione, premiando altresì coloro che acquistano il titolo all’atto del suo collocamento sul mercato e lo detengono fino alla scadenza.

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Certo, rispetto a quando fu congegnato dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sembra avere perso molto smalto, visto che negli ultimi anni in Italia l’ultimo dei problemi sia stato il tasso d’inflazione, sceso su livelli storicamente molto bassi anche altrove. Tuttavia, i segnali che arrivano dal mercato obbligazionario sovrano ci raccontano di una diffusa sottostima del fenomeno, che rischia di infliggere perdite nei prossimi anni. Come calcolare il tasso d’inflazione atteso dal mercato nel medio-lungo termine? Confrontando i rendimenti dei titoli con cedola fissa con quelli esitati dai titoli di pari durata e con cedola legata all’inflazione. Lo “spread” è quel tasso di “breakeven” che rende indifferente l’uno o l’altro investimento.

Se un bond a 5 anni con cedola fissa offre il 3% e un quinquennale con cedola variabile rende l’1%, significa che gli investitori si aspettano un’inflazione media triennale del 2%. Se alla fine del periodo, questa si sarà rivelata inferiore, a perderci saranno stati gli obbligazionisti dei bond con cedole variabili, in quanto avranno beneficiato di rendimenti più bassi.

Viceversa, ci avranno perso i detentori dei bond con cedole fisse, di fatto erose dalla crescita dei prezzi superiore a quanto si fosse immaginato.

I segnali dai BTp Italia

Abbiamo confrontato i rendimenti di tre BTp Italia con gli omologhi a cedola fissa. Il bond retail con scadenza novembre 2022 e cedola reale garantita dell’1,45% rende oggi lo 0,82%, mentre il corrispettivo a cedola fissa l’1,11%. Pertanto, il mercato si attenderebbe un’inflazione media da qui a fine 2022 dello 0,29% (1,11% – 0,82%). Il BTp Italia aprile 2024, cedola annua reale 0,40%, offre l’1,27%, a fronte dell’1,66% del titolo con cedola fissa. La differenza è dello 0,39%, poco superiore a quella triennale. Infine, sulla scadenza nel maggio 2026 abbiamo da un lato un rendimento dell’1,37% e dall’altro uno al 2,05%, esitando un “breakeven” in area 0,68%.

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Dunque, il mercato si aspetta un’inflazione praticamente azzerata da qui ad almeno i prossimi 7 anni, un fatto che contrasta con la stessa realtà attuale dei fatti, visto che, per quanto bassa sia, l’inflazione italiana resta superiore all’1%. Due le cose: o si prevede che l’economia domestica non sarà in grado di reggere prezzi significativamente più alti o la corsa ai bond come beni rifugio di questi ultimi mesi esula da tali ragionamenti, un fenomeno comune a tutto l’Occidente, Europa e Giappone in testa, anche se non ci si spiega come mai non sia accaduto qualcosa di simile con i BTp Italia, i quali dovrebbero esitare prezzi ben superiori e rendimenti inferiori. Invece, se è vero che nell’ultimo anno il novembre 2022 si è apprezzato del 2,2% contro il -2,9% accusato dall’omologo ordinario, l’aprile 2024 si è deprezzato del 6,8% contro il -5,8%, così come il maggio 2026 ha perso il 5,5% contro il -3,9%. In sostanza, il mercato ha snobbato più i bond difensivi del potere di acquisto, evidentemente non intravedendo rischi d’inflazione.

Ma la logica dei numeri ci direbbe che i BTp Italia sarebbero sottovalutati e che avrebbero più senso, ai prezzi attuali, dei BTp con cedola fissa.

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