Investire in Germania con la testa rivolta al Messico? Non è uno scherzo. Lo scorso anno, la Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW), che possiamo considerare la Cassa depositi e prestiti tedesca, ha emesso un green bond denominato in pesos messicani per 1 miliardo, pari a poco più di 43 milioni di euro al cambio attuale. Il titolo scade il 25 luglio 2025 e stacca cedola fissa lorda del 4,4% all’anno (ISIN: XS2291329030).

Questo green bond è interessante sotto diversi profili. In primis, perché è stato emesso da un istituto che ha rating tripla A, essendo controllato da stato federale e Laender.

Inoltre, è un’obbligazione senior, cioè nel caso di risoluzione è rimborsato con precedenza rispetto alle obbligazioni subordinate. Di fatto, il rischio di credito non esiste. Stiamo parlando a tutti gli effetti di debito semi-pubblico tedesco.

Ora, la Germania continua ad emettere Bund a tassi d’interesse bassissimi, anzi nulli fino alle lunghissime scadenze. Per le scadenze fino ai 10 anni, i rendimenti offerti restano negativi. Invece, in questo caso abbiamo rendimenti decisamente positivi. L’altro ieri, il suddetto green bond offriva il 7,42%. Oltre alla cedola molto generosa di questi tempi, la quotazione risultava di 91 centesimi, cioè ben al di sotto della pari. Ciò significa che un lotto minimo di 100.000 pesos (4.300 euro) può acquistarsi per 91.000 pesos (3.920 euro).

Green bond, rischio di cambio e prospettive

Il vero rischio di questo titolo consiste nel tasso di cambio. Se il peso messicano s’indebolisse contro l’euro alla scadenza rispetto alla data dell’investimento, il capitale rimborsato risulterebbe più basso. In quel caso, il rendimento lordo effettivo si ridurrebbe o finanche verrebbe più che azzerato dalle perdite valutarie. E il peso messicano ha perso il 27% contro l’euro negli ultimi 10 anni, sebbene si sia rivalutato del 14% dai primi di maggio del 2020, quando era crollato ai minimi storici. Questa valuta emergente ha sofferto parecchio durante l’amministrazione Trump, risentendo della rinegoziazione del NAFTA, l’accordo commerciale che lega USA, Messico e Canada, voluta proprio dal tycoon al governo.

Prima della presidenza Trump, scambiava a 20 contro l’euro. Oggi, si attesta in area 23,20. Se tornasse ai livelli di inizio 2017 e recuperati poco prima della pandemia, il cambio si rivaluterebbe del 15%. In quel caso, il rendimento effettivo volerebbe sopra 11,50% su base annua. Invece, se il peso tornasse a indebolirsi ai minimi di quasi due anni fa, il rendimento scenderebbe intorno sotto il 3,5% annuo. Chiaramente, non possiamo prevedere se farà persino peggio o meglio delle aspettative estreme di cui sopra. Di certo, molte delle tensioni con gli USA vissute negli anni passati si sono allentate e questo gioca favorevolmente al cambio. D’altra parte, l’euro nei prossimi anni dovrebbe apprezzarsi contro le altre valute per via di una politica monetaria più restrittiva della BCE. Ed è questa la scommessa dell’emittente, ossia di ritrovarsi a rimborsare agli obbligazionisti un capitale dal valore inferiore. Ricordatevi che non esistono i pasti gratis.

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