E io magno!

La sconfitta di Lodovico Il Moro, tradito dagli svizzeri a Novara nel 1500, aprì una nuova stagione per Milano e per l’Italia. Declinavano le arti e le professioni, i commerci ridotti con il baricentro della gestione del potere che si spostava altrove: le più belle figure del Rinascimento milanese solo un ricordo … Quello che era lo stato più ricco d’Europa non era che l’ombra di se stesso: i giochi tra i Principi italiani, il papato e le nascenti nazioni europee mettevano in luce tutta la fragilità politica dell’assetto della Penisola.
Tra il 1500 ed il 1530 non c’era stato un quinquiennio tranquillo. Lo scontro tra le maggiori potenze passava attraverso il controllo di Milano, crocevia europeo, e dei valichi alpini lombardi che attraverso la Svizzera permettevano di raggiungere per via terrestre le Fiandre accerchiando la Francia. Proprio l’iniziale perdita di questi passi, a favore degli Svizzeri, decretò l’inizio della fine. Uno scontro epocale contro la Francia ed un Impero, quello di Carlo V dove non tramontava mai il Sole. I piccoli staterelli italiani erano impotenti, al servizio di una o dell’altra potenza europea, nella speranza di potersi guadagnare qualche spazio di autonomia. Venezia guardava verso il mare, ma non disdegnava di poter approfittare della situazione a danno dei milanesi. I nostri poveri abitanti della bassa pianura, ricca e fertile frutto di un duro lavoro di canalizzazione irrigua ( oggi diremmo coordinata da una efficiente macchina “statale”) non sapevano più a quale Santo votarsi: fame, miseria, distruzione e peste. La presenza dello Stato sul territorio, con tutta la sua burocrazia tirannica dei Visconti prima e degli Sforza poi, era diventata un piacevole ricordo. Fu in questo contesto che nacque la famosa frase: “Franza o Spagna, basta che se magna”.
Credo che i greci si trovino ora sotto lo stesso fuoco concentrico di un “dominus” invisibile, da un lato forze esterne che premono per la capitolazione mentre quelle interne lottano con tutte le proprie forze per rigettare la prospettiva. Sappiamo che una caratteristica peculiare del debito pubblico greco consiste nel fatto che la stragrande maggioranza del credito è nelle mani degli “Istituzionali”, con una parte rilevante in possesso degli stessi ellenici. La quota in mano al “Parco Buoi” – al retail – è intorno al 25%, secondo stime riportate da Federico Fubini sul “Corriere della Sera”. Risulta quindi difficile, in questo contesto, ipotizzare iniziative oltremodo penalizzanti che andrebbero ad impattare direttamente su chi vorrebbe tirarsene fuori. La BCE ne ha in carico un buon 17%, il coordinamento internazionale di aiuti (la Troika) un altro 13% destinato però a crescere, le banche europee sono intorno al 18% ed infine un altro 25% è detenuto da istituzionali greci. Considerata l’impossibilità di scaricare, come sempre è successo, gli oneri sul retail e vista la qualità dei creditori con i loro interessi, tutto farebbe propendere verso una soluzione “ragionata” che mantenga inalterato il nominale con una proroga di 5 anni sulle scadenze. Sarebbe un bel problema invece per gli “assicuratori” di CDS, stimati in circa 76 MLD, che potrebbero vedersi scattare le clausole innescate da un pur lieve processo di ristrutturazione. Al momento la BCE si oppone ad ogni ipotesi di ristrutturazione del debito, forte di uno studio di simulazione degli effetti di un default su tutta l’area partendo da Atene. Come al solito, costerà meno salvare la Grecia che lasciarla affondare nei debiti. La settimana è stata particolarmente dolorosa per i bondisti esposti sui tre Periferici più a rischio (Grecia, Irlanda e Portogallo) che in contemporanea hanno registrato nuovi massimi storici sul Bund dall’introduzione dell’Euro. La stessa Spagna fatica a disancorarsi definitivamente dal gruppetto dei tre, ma è sulla buona strada.
Gli obiettivi di Zapatero non riescono però ad abbassare il pauroso tasso di disoccupazione che negli ultimi tre mesi è passato dal 20,3% al 21,03%, rimane fermo l’impegno di far scendere il deficit/PIL dal 9,2% del 2010 al 6% nel 2011 con una stima di crescita dell’ 1,3% dopo due anni di contrazione. Riesce invece a tenersi a debita distanza l’Italia, pur continuandone a seguire i movimenti in correlazione nelle fasi più acute. Draghi ha però iniziato a segnalare allarmi sulla criticità della spesa pubblica. L’attesa sul fronte iberico è tutta rivolta verso il Portogallo con il dimissionario Socrates che spera di chiudere la trattative con la Troika e l’Opposizione entro la prima quindicina di maggio. Non sarà facile e il tempo non gioca a favore, a giugno ci sarà da rimborsare un titolo in scadenza, attualmente non coperto. Si parla sempre di circa 80 MLD che occorreranno a Lisbona per superare la fase critica senza rivolgersi ai mercati. In settimana, a sorpresa, è stata annunciata un’asta di titoli trimestrali per il prossimo 4 maggio per un importo attorno al miliardo. Si suppone per gestire “al meglio” la cassa prima del bailout. Al momento la Grecia rimane in attesa dell’approvazione, nelle prossime settimane, da parte del Parlamente del pacchetto “Papandreou” consistente in una manovra di rientro da 3 MLD rispetto allo sforamento dei conti del 2010 e del grande piano di privatizzazioni che dovrebbe dispiegare la sua efficacia sino al 2015. Sarà un passo delicato per la tenuta dell’assetto interno al PASOK, non sono mancate in questi giorni le differenziazioni e le prese di posizione di diversi esponenti di rilievo. La conduzione del Partito rimane comunque stabile e stretta intorno al Leader, non dovrebbero esserci sorprese. Una partita importante si giocherà sui dettagli, intorno ai beni da privatizzare tra i quali alcune aziende di importanza strategica – energetiche ad esempio – e sul ruolo che continuerà ad avere lo Stato nelle stesse aziende privatizzate.
La manovra avviene sotto le spinte speculative di questi giorni e con la pressione della Troika. L’approvazione del piano è subordinato al rilascio della prossima tranche di aiuti da 12 MLD che dovrebbe arrivare a giugno. Il Vertice Ecofin di metà maggio dovrà prendere atto della situazione in Grecia e dovrà approvare gli aiuti al Portogallo. Come andò a finire tra Franza e Spagna? Per più di trent’anni durò l’alternanza tra i vari governatori militari con i deboli esecutivi guidati dai figli di Lodovico Il Moro. Il primo, dopo la caduta del Moro, con Massimiliano Sforza che riprese le redini tra il 1512 ed il 1515 sostenuto dal Re di Francia. Il secondo, guidato dal fratello, Francesco II Sforza dal 1525 al 1535 sostenuto dal Re di Spagna, dopo che questi aveva definitivamente sconfitto il Re francese nella Battaglia di Pavia. L’intricata vicenda si chiuse con la morte del fragile Francesco II, avvenuta in giovane età e senza lasciare eredi. Si chiuse così l’età sforzesca con il passaggio “de facto” del Ducato di Milano a Carlo V, quindi alla Spagna. L’ipoteca del dominio straniero sulla penisola venne meno solo con le guerre risorgimentali. Il periodo di pace che ne seguì fu foriero di ripresa e sviluppo con Milano che riottenne la sua cerchia di mura. I territori erano però stati fortemente ridotti e con essi la forza economica e la capacità di riscossione: perduti i preziosi territori oltre il Po, ad est verso Venezia ed a nord i valichi alpini. Tutte premesse per l’inevitabile declino del secolo successivo. Tra tutti i territori posseduti dalla Spagna, il Ducato di Milano era quello più prezioso e strategico. Nonostante alcune possibilità di “scambio”, Milano non venne mai ceduta, per nessuna ragione. Per oltre un secolo gli spagnoli tenendo Milano governarono sull’intera penisola stringendo la Francia, il nemico storico. Con la caduta della Spagna, agli inizi del 1700, il territorio passò all’Austria ma ormai non era che l’ombra di se stesso. Milano governava su una striscia di territorio che andava tra l’Adda e il Ticino con un allungo su Varese e Como a nord, e verso Cremona e Mantova a sud. Poco meno dell’attuale Lombardia limitandone fortemente la capacità di sviluppo. Ma questa è un’altra storia.