Il franco svizzero è salito ai massimi da oltre 2 anni contro l’euro nelle ultime sedute, attestandosi a un tasso di cambio sotto 1,10. Tra aprile e maggio, un euro comprava ancora più di 1,14 unità della valuta elvetica. Il rafforzamento di quest’ultima è legato direttamente alle tensioni internazionali, tra cui “guerra” commerciale USA-Cina, Brexit e caso Iran. Per i rendimenti obbligazionari nell’Eurozona, il segnale che arriva dallo stato alpino appare “bullish”. La Banca Nazionale Svizzera tiene i tassi sottozero da anni e non riesce ugualmente a centrare il target d’inflazione, a causa proprio del cambio sopravvalutato, che mantiene bassi i prezzi dei beni importati.

E gli afflussi dei capitali non vengono dissuasi dai tassi negativi, perché il paese è considerato un porto sicuro contro i rischi geopolitici, finanziari ed economici in giro per il mondo.

Per questo, onde evitare di scivolare in una condizione di stagnazione e deflazione, il governatore Thomas Jordan probabilmente sta già intervenendo da qualche settimana per indebolire il franco svizzero, come segnalerebbero i dati sui depositi a vista. In che modo? Acquistando assets in valuta straniera. Dei circa 768 miliardi di franchi delle riserve valutarie, l’istituto ne ha investito il 39% in titoli denominati in euro, il 35% in dollari. E i titoli di stato incidono per il 69% del portafoglio complessivo. Dunque, se la Svizzera dovrà tornare in grande stile sui mercati per indebolire il cambio, verosimilmente acquisterà bond governativi in euro, i cui rendimenti non faranno che scendere ulteriormente.

Perché il franco svizzero si rafforza con i rendimenti dei bond sempre più negativi?

Corsa ai Bund con il super franco?

Lo scenario di un collasso ancora più marcato dei rendimenti in euro si farà più concreto nel caso in cui la stessa BCE tornasse ad acquistare bond con un secondo round di “quantitative easing”. Considerato che il decennale tedesco offre già fino a circa il -0,60%, non ci sarebbe praticamente alcun “floor” in vista nel breve termine per i rendimenti della Germania, se nei prossimi mesi dovesse scatenarsi una corsa tra ben due banche centrali per l’acquisto di titoli in euro.

Attenzione, però, perché l’intervento della banca centrale svizzera beneficerebbe indirettamente anche i BTp, spiazzando il mercato verso gli altri bond dell’Eurozona, ma allo stesso tempo contribuirebbe ad ampliarne gli spread. Questo, perché l’istituto di Zurigo investe per il 96% del totale in bond con rating “A” o superiore a tale giudizio, per cui comprerebbe essenzialmente Bund, Oat francesi, titoli austriaci, dell’Olanda, del Belgio e della Finlandia e non certo BTp e titoli della semi-periferia, se non marginalmente.

Il franco svizzero aveva rivisto i livelli del cosiddetto “cambio minimo” di 1,20 nella primavera dello scorso anno, quando la prospettiva di un rialzo imminente dei tassi BCE sembrava alla portata. Da allora, è tornato a rafforzarsi con l’allontanarsi della stretta monetaria sia nell’area che nella stessa Svizzera. Nel caso in cui tensioni internazionali s’intensificassero, non possiamo escludere che Jordan faccia di tutto per tenere informalmente il cambio contro l’euro sopra 1,05, il livello minimo al di sotto del quale l’istituto ha cercato sin dal gennaio 2015 di non scendere. Più ci si avvicinerà verso tale soglia, maggiori gli acquisti di euro-bond, con rendimenti calanti per questi e uno spread BTp-Bund tendenzialmente in aumento.

Perché lo spread non è più sinonimo di guai per i conti pubblici italiani

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