Ieri 14 febbraio, la Commissione europea ha raccolto altri 7 miliardi di euro attraverso il collocamento sindacato di quest’anno. L’operazione è stata curata da Barclays, Bank of America, Citigroup, Credit Agricole e Deutsche Bank. In offerta vi erano due nuove tranche di altrettanti Eurobond già in circolazione e rispettivamente in scadenza in data 4 dicembre 2029 (ISIN: EU000A3K7MW2) e 4 novembre 2042 (EU000A3K4DV0). Nel dettaglio, 3 miliardi sono stati incassati con la prima e 4 miliardi con la seconda. Altissime le richieste, che complessivamente sono arrivate a 93 miliardi, oltre 13 volte l’importo collocato.

Esse hanno riguardato per 42 miliardi l’Eurobond a 7 anni e per 51 miliardi la scadenza a 20 anni.

L’Eurobond 2029 stacca cedola annua lorda dell’1,625% ed è stato piazzato ieri ad un prezzo di 92,130 centesimi per un rendimento lordo alla scadenza del 2,92%. Questo è risultato essere di 2 punti base sotto il tasso mid-swap e a +54,7 sul Bund a 7 anni. Per fare un confronto, il BTp dicembre 2029 offriva ieri un rendimento del 3,85%, cioè di 93 punti base o 0,93% più alto.

Quanto all’Eurobond 2042, la cedola annua lorda sale qui al 3,375% e il prezzo esitato dal collocamento è stato di 101,638 per un rendimento alla scadenza del 3,26%. In questo caso, siamo a +52 punti base sul tasso mid-swap e a +85,3 sul Bund a 20 anni. Con questa emissione, la Commissione europea ha già raccolto 20 degli 80 miliardi preventivati nella prima metà dell’anno. Questi capitali serviranno a finanziare il Next Generation EU, noto più popolarmente come Recovery Fund, nonché ad assistere l’Ucraina con il Macro-Financial Assistance.

Eurobond più liquidi con denominazione unica

Per la seconda volta, l’Unione Europea ha usato la denominazione di “EU-Bonds”, la quale unifica le varie denominazioni finora utilizzate e che riflettevano i diversi programmi per cui erano rivolte. L’intento degli esperti della Commissione consiste nel rendere più liquido il mercato degli Eurobond. Ed è forse grazie a ciò che nelle ultime settimane questi titoli stiano esibendo una performance migliore di “safe asset” come i Bund.

Era accaduto nei mesi passati, al contrario, che gli spread si fossero ampliati, segno che il mercato stesse preferendo i titoli di stato tedeschi.

Il successo degli Eurobond sia in fase di emissione che sul mercato secondario può diventare un “game changer” per l’obbligazionario continentale. Più si riuscirà a rendere liquide le singole emissioni, più alta sarà la domanda degli investitori istituzionali. La scarsa liquidità è stata in passato un freno agli investimenti, dato che risultava più difficile negoziare i titoli sul secondario.

Gli Eurobond sono tuttora poco diffusi nei portafogli degli investitori individuali. Anzi, non abbiamo alcun problema ad ammettere che questi sconoscano in moltissimi casi la loro esistenza. Contribuisce all’insuccesso la scarsa informazione al riguardo, nonché la difficoltà ad accedere alle comunicazioni ufficiali della Commissione in fase di emissione. Si tratta nei fatti di “safe asset”, titoli dal rischio di credito praticamente nullo e con rendimenti ancora oggi più alti di Francia e Germania. Insomma, titoli relativamente più remunerativi, a fronte di un rischio inferiore. Un paradosso che potrebbe durare ancora per poco.

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