Anche sulla sponda del Nord Africa si pensa a diversificare il debito pubblico in valuta. Non solo valute locali e dollari USA, ma anche euro. Così L’Egitto ha deciso di finanziarsi sui mercati internazionali lanciando titoli di stato in euro raccogliendo 2 miliardi fra gli investitori internazionali a fronte di offerte che hanno superato quota 7,2 miliardi di euro. L’emissione governativa segue da vicino quella conclusasi con successo a fine gennaio 2018 per 4 miliardi di dollari.

 

Obbligazioni Egitto 2026 e 2030

 

Nel dettaglio, l’Egitto ha collocato sul mercato un bond da 2 miliardi di euro suddiviso in due tranches da 1 miliardo ciascuna.

La prima ha durata 8 anni, con scadenza 2026 e cedola annuale del 4,75% (Isin XS1807306300); la seconda ha durata 12 anni, scadenza 2030 e cedola annuale pari al 5,625% (Isin XS1807305328). Entrambi i bond sono stati collocati presso investitori istituzionali e sono negoziabili Otc per tagli minimi di 100.000 euro con multipli aggiuntivi di 1.000 e prime indicazioni di prezzo intorno a 100,50. Saranno quotati alla borsa di Londra fra qualche giorno dove sarà disponibile anche il prospetto informativo. La cedola è annuale e viene staccata il 16 aprile per entrambi i titoli. Il rating del Egitto è “non investment grade” per le agenzie internazionali che lo classificano B3/B-/B.

 

 

Egitto: analisi del quadro socio – economico

 

I più recenti dati del Ministero delle Finanze del Egitto indicano, per l’intero anno fiscale 2016/17, una crescita del PIL in termini reali del 4,2 per cento, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente, ma pur sempre superiore a quella della popolazione e della crescita prevista dalle principali organizzazioni internazionali. Il rallentamento dell’attività economica si inquadra nel contesto di un difficile periodo di aggiustamento per l’economia egiziana da una condizione di pesanti rigidità e bassa liquidità ad una condizione più basata su criteri di mercato.

Con la fluttuazione del cambio e l’implementazione delle misure di austerità, il tasso di inflazione su base annuale è salito a oltre il 30 per cento nei primi mesi dell’anno, principalmente a causa dei rialzi dei prezzi dei beni alimentari, la cui inflazione ha toccato il 43 per cento nel mese di aprile.

Nonostante ci si attenda che l’effetto della svalutazione del cambio sul tasso di inflazione sia momentaneo, i tagli ai sussidi energetici implementati a giugno e a luglio hanno continuato a sostenere gli elevati tassi di inflazione su base annua; l’aumento dell’IVA al 14 per cento e gli ulteriori tagli ai sussidi, previsti per la seconda metà di quest’anno, potrebbero spingere l’inflazione a oltre il 35 per cento.

Sul fronte fiscale si è osservato un debole deterioramento dei conti pubblici nel precedente anno fiscale. Il disavanzo pubblico in rapporto al PIL è aumentato al 12 per cento, dall’11,5 per cento del precedente anno fiscale, per effetto della contrazione delle entrate, la quale non è stata compensata da una sufficiente riduzione della spesa pubblica. E’ in questo contesto che il Governo ha deciso di implementare una serie di misure di austerità volte al consolidamento dei conti pubblici principalmente attraverso il graduale taglio ai sussidi energetici e l’introduzione dell’IVA al 13 per cento. Le misure di austerità attuate dal Governo non hanno contribuito in modo sostanziale a ridurre il disavanzo dei conti pubblici, sia per la ridotta misura dei tagli ai sussidi, sia a causa dell’accresciuto costo dell’energia importata a seguito della fluttuazione del cambio. Le più recenti previsioni per l’anno fiscale 2016/17 indicano che il deficit pubblico potrebbe essere pari al 10,9 per cento del PIL, in calo dal 12 per cento del 2015/16, ma comunque superiore al valore indicato nel piano di rientro concordato con l’FMI (10 per cento), anche a causa dell’aumento della spesa per interessi.

Le riserve ufficiali, assottigliatesi fino a coprire il livello critico dei 3 mesi di importazioni nella prima metà del 2016, hanno superato, i 36 miliardi di dollari ad agosto, sufficienti a coprire fino a 6 mesi di importazioni. L’aumento delle riserve è diretta conseguenza dell’aumento delle esportazioni, dell’afflusso di investimenti dall’estero e dell’accordo con il Fondo Monetario Internazionale, ratificato a novembre, che ha già comportato l’esborso del secondo pagamento della prima tranche del prestito